Mal di schiena
MAL COMUNE
di Davide Carli
QUALI SONO LE PRINCIPALI CAUSE E I FATTORI PREDISPONENTI. IL DOLORE È UN PREZIOSO CAMPANELLO D’ALLARME.
La patologia del mal di schiena colpisce tutte le tipologie di persone, dai sedentari agli sportivi, e ha una diffusione così ampia che è seconda solo alle cefalee. La principale causa d’insorgenza della lombalgia è legata a una postura non corretta. Purtroppo lo stile di vita del XXI secolo, tende a far assumere alle persone degli atteggiamenti posturali protratti in flessione che si potrebbero evolvere anche in vere e proprie patologie. La giornata tipica di una persona, infatti, si può riassumere nel seguente modo: al mattino ci si flette in avanti sul lavandino per lavare il viso, successivamente ci si siede a tavola per la colazione, poi ci si sposta in macchina per raggiungere il luogo di lavoro, per continuare la giornata dietro a una scrivania. La sera, tornati a casa, stanchi per la lunga giornata, ci si metterà a tavola per cenare e successivamente ci si adagerà sul divano.
Da questa breve descrizione si può comprendere come la giornata di una persona ‘comune’ sia caratterizzata da prolungati periodi di tempo trascorsi con la colonna vertebrale in posizione di flessione. Questo atteggiamento scorretto causa inizialmente solo delle limitazioni del movimento e della funzionalità, ma se protratto nel tempo in modo ripetitivo, tenderà a creare una modificazione di tutte le curve fisiologiche della colonna vertebrale (in particolar modo causerà una riduzione della lordosi lombare) sino a provocare l’insorgenza del sintomo doloroso. Dopo di che l’insorgere del dolore tenderà ancor più a creare limitazione nel movimento, incrementando così il ‘vizio posturale’ e le problematiche a esso legate. Inoltre la resistenza assiale della colonna vertebrale, che viene calcolata con una semplice formula fisica descritta di seguito, varia proprio in funzione della presenza delle curve fisiologiche. Cioè a una riduzione della lordosi corrisponde una minor capacità di ammortizzare i carichi esterni.
R=N2+1
R: resistenza assiale della colonna vertebrale
N: numero di curve presenti nella colonna vertebrale
IL DISCO INTERVERTEBRALE E IL DANNO
Il disco intervertebrale è costituito da due diverse strutture: l’anulus fibroso e il nucleo polposo. Quest’ultimo è contenuto nell’anulus in una posizione leggermente posteriore rispetto al centro geometrico. L’anulus fibroso è formato da strati concentrici di fibre di collagene disposte ad angolo l’una rispetto all’altra, in modo da formare una fitta rete intrecciata. La totale porzione posteriore dell’anulus è spessa la metà rispetto alla parte laterale e anteriore, così che risulta più debole e naturalmente meno resistente alla protusione o estrusione. Grazie alla sua struttura, l’anulus fibroso permette i movimenti della colonna vertebrale in tutte le direzioni, sebbene in modo limitato. Il nucleo polposo è costituito da una massa gelatinosa trasparente formata in gran parte da acqua. Queste caratteristiche chimiche gli permettono di assumere un comportamento altamente viscoso. L’aumento del volume del nucleo si riscontra facilmente al mattino quando, misurando l’altezza, ci accorgiamo di essere un po’ più alti. La spiegazione è semplice: l’acqua defluita durante il giorno tende a rientrare nel nucleo quando siamo distesi a riposo e quindi in assenza di carichi. La dimensione e la capacità di idratarsi, invece, si riducono quando si eseguono degli sforzi ripetuti in modo rapido: i movimenti veloci schiacciano il nucleo polposo ‘spremendolo’ e non consentono al liquido di rifluire in modo completo, determinando così una riduzione del volume del nucleo. I dischi intervertebrali della zona lombare sono quelli che sopportano un maggior carico e, per questo motivo, sono i più esposti al rischio di lesione. In età giovanile, compatibilmente con una corretta postura, il disco intervertebrale sano in modo particolare il nucleo gelatinoso, permette di distribuire i carichi in modo uniforme su tutte la strutture articolari.
I movimenti della colonna vertebrale, producono uno spostamento del nucleo polposo all’interno dell’anulus: durante la flessione del busto esso si sposta posteriormente, mentre in estensione avviene il contrario. Il nucleo polposo si allontana, in funzione del movimento, dal punto in cui i dischi vertebrali comprimono l’anulus (flessione, estensione o flessione laterale). Quindi durante una postura in flessione, si crea una sommatoria di forze in cui i due corpi vertebrali schiacciano anteriormente il disco intervertebrale, e spingono così il nucleo polposo posteriormente. Ripetendo continuamente questa postura viziata, in un primo stadio si avrà un’alterazione della morfologia dell’anulus (protrusione), sino poi ad arrivare addirittura a un danneggiamento del disco stesso (erniazione: il nucleo polposo fuoriuscire nel canale vertebrale). A questo punto il soggetto assumerà differenti posizioni viziate a seconda della localizzazione della protrusione o erniazione. Quando il nucleo polposo protrude centralmente, infatti, il soggetto tenderà ad assumere una posizione accentuata in cifosi, mentre se il danno interessa la regione postero-laterale del disco intervertebrale, si tenderà ad assumere un atteggiamento scoliotico. Nel caso in cui, invece, si abbia un’estrusione del nucleo polposo (ernia), la funzionalità del disco viene compromessa quasi totalmente proprio perché viene a mancare l’essenziale meccanismo idrostatico che permetteva al nucleo polposo di spostarsi in funzione del carico. Una volta attenuato il dolore acuto, il successo della riabilitazione è basato sulla mobilizzazione precoce della colonna vertebrale, in modo da garantire un giusto grado di estensibilità ed elasticità alla cicatrizzazione dell’anulus. In caso contrario, il tessuto cicatriziale che si viene a formare presenterebbe un’importante rigidità, che non consentirebbe il totale movimento articolare. Allo stesso modo se la cicatrice venisse forzata eccessivamente o in modo troppo rapido, verrebbe ulteriormente danneggiato il disco intevertebrale. Se manteniamo una posizione fisiologica della colonna vertebrale, invece il carico viene equamente distribuito, impedendo così lo sviluppo di sollecitazioni tangenziali che creerebbero pericolosi spostamenti del nucleo polposo. Quindi, se il disco intervertebrale non presenta lesioni che ne alterino il comportamento idrostatico, con il movimento in estensione del rachide si riuscirà a ridurre la spinta posteriore del nucleo polposo, facendolo migrare in avanti. In questo modo si impedirà di lesionare l’anulus e si migliorerà la sintomatologia dolorosa. Quando il nucleo polposo invece si disidrata, come succede quando si invecchia o si abusa con carichi eccessivi, non possiede più una buona capacità di ammortizzare i carichi e si viene a diminuire anche la possibilità che esso ha di ritornare nella posizione di partenza dopo essersi spostato all’interno del disco intervertebrale di conseguenza a una sollecitazione. A questo punto la distribuzione dei carichi non sarà più uniforme, così come la funzionalità del rachide si ridurrà notevolmente.
RICONOSCERE IL DOLORE E LA SUA IMPORTANZA NEL TRATTAMENTO RIABILITATIVO
Il dolore non presenta sempre la stessa natura: si può manifestare in seguito a cause chimiche, meccaniche o a entrambe. Nel primo caso il dolore è prodotto in conseguenza a processi infiammatori e si avverte quando la presenza delle sostanze chimiche irritanti aumenta fino al punto di stimolare – con una certa intensità – le terminazioni nervose nocicettive presenti nel tessuto; in questo caso la sensazione del dolore sarà continua e non diminuirà variando la posizione. Con il progredire della guarigione, il dolore costante creato dal processo infiammatorio sarà sostituito da un dolore intermittente, che identifica quello meccanico. Riprendendo la posizione corretta, si eliminano le alterazioni meccaniche e di conseguenza anche il dolore. Il dolore va pertanto considerato come un prezioso campanello d’allarme che segnala una postura scorretta e invita a correre ai ripari, correggendola nel modo appropriato. Con la comparsa di una protusione, si determina, in un primo momento, un’irritazione della fitta rete nervosa (nervo seno-vertebrale di Luschka) che circonda il disco intervertebrale, causando così un dolore che può interessare la stessa unità funzionale come le altre vicine, anche in assenza di compressione dei tronchi nervosi radicolari. Come risposta allo stimolo dolorifico si instaurerà una contrattura dei muscoli del dorso. La protrusione, nella sua evoluzione, inizierà a irritare anche le radici dei nervi spinali, causando un dolore maggiore, intorpidimento e parestesie distribuite lungo il decorso del nervo interessato. Nel caso del nervo sciatico, per esempio, il dolore dapprima si manifesta centralmente nel rachide e, aumentando d’intensità, si protrae prima sulla natica, poi lungo la coscia, fino ad arrivare, nel momento peggiore, fino al piede. Naturalmente, il miglioramento del paziente è determinato dal percorso inverso della sintomatologia. Se il dolore, quindi, si avvicina sempre più alla linea centrale (fenomeno della centralizzazione), stiamo sicuramente intraprendendo la giusta strada verso la guarigione. Il successo del percorso riabilitativo si ottiene anche nel caso in cui la terapia meccanica produca un momentaneo aumento del dolore centrale, però a discapito di quello distale o laterale.
FATTORI PREDISPONENTI
Il dolore lombare è favorito dalla presenza di tre fondamentali fattori predisponenti: l’errata postura da seduti, la perdita di articolarità in estensione e l’aumento della frequenza in flessione. Per quanto riguarda la colonna vertebrale, la postura corretta da seduti dovrebbe essere simile alla posizione in stazione eretta (devono essere presenti le tre curve fisiologiche). Nella realtà questo non accade: in posizione seduta, solitamente, ci si rilassa assumendo una posizione in flessione. Gli eccessivi atteggiamenti in flessione causano una riduzione dell’articolarità in estensione, un’eccessiva tensione delle strutture passive posteriori (legamenti interspinosi) e un aumento del carico intradiscale nella porzione anteriore del disco intervertebrale. Tale condizione favorisce, in primo luogo, uno spostamento posteriore del nucleo polposo che potrebbe continuare a migrare, se non si corregge l’errata postura, sino a causare un danno del comparto posteriore del disco intervertebrale. Questa è definita da Robin Mckenzie, noto fisioterapista neozelandese, come sindrome da derangement, spostamento del nucleo polposo in conseguenza a una squilibrata posizione dei corpi vertebrali). Al contrario, aumentando sia la frequenza che l’entità dell’estensione del rachide con esercizi specifici, si creano delle forze che facilitano il ritorno anteriore del nucleo polposo, riducendo cosi la tensione che quest’ultimo aveva creato sulla parte posteriore del disco intervertebrale.