All'ombra del successo
Scritto da Marco NeriINTERVISTA AD ALEXANDER BERTUCCIOLI SUL SUO RUOLO DI MEDICO NUTRIZIONISTA DELLA PIÙ GRANDE NUOTATRICE ITALIANA DELLA STORIA: FEDERICA PELLEGRINI
Le luci di un podio, l’emozione di una finale Olimpica; tutti i riflettori sono (giustamente) sull’atleta che coglie il risultato di anni di sacrifici e dedizione ma a pochi va il pensiero verso tutte quelle persone che hanno contribuito a quel successo. Certamente i tecnici e gli allenatori, ma un ruolo centrale nello sport moderno lo ricoprono i medici, non solo quelli sportivi, ma anche i nutrizionisti che adeguano piani alimentari e integrazione alle esigenze dell’atleta. Un ruolo svolto in ombra e questo ancora di più se la figura in questione ha un carattere riservato come il prof. Alexander Bertuccioli, certamente uno dei docenti di punta della FIF e che parallelamente al suo percorso da medico/biologo ha percorso anche tutta la formazione fino ad arrivare al top trainer federale. Ebbene dietro la grande prestazione di Federica Pellegrini c’è anche il suo ruolo di medico nutrizionista. Dietro qualche insistenza siamo riusciti a “strappargli” una breve intervista.
Alex come è stato lavorare con Federica Pellegrini? C’è stata subito empatia e fiducia?
È stata sicuramente una grande esperienza professionale e umana, in grado di farti capire cosa significa lavorare con un atleta professionista con la P maiuscola, che nel contempo si rivela anche una grande persona, sono rimasto profondamente colpito oltre che dalle doti atletiche dalle profonde doti umane, dal clima di gentilezza, rispetto e collaborazione, che purtroppo negli ambienti sportivi non è da dare per scontato.
Puoi dirci, senza svelare segreti, le linee guida del programma alimentare di una campionessa mondiale? I macro nutrienti sono sempre stati fissi?
Come l’allenamento anche la nutrizione e l’integrazione devono ruotare intorno all’atleta ed essere ritagliate in base alle sue specifiche necessità considerando che ogni misura applicata deve essere volta a sostenere la persona e garantirne il benessere non a “opprimerla”, il mio motto rimane sempre prima di tutto cerchiamo di far bene le cose “normali” di tutti i giorni, rifuggendo la ricerca dell’esotico o della novità a tutti i costi.
A tuo avviso in % che ruolo gioca l’alimentazione dietro un successo e soprattutto dietro la longevità sportiva di un atleta?
Sicuramente è importante, ma dobbiamo partire dal presupposto che con atleti di questo livello siamo di fronte a una combinazione vincente di diversi fattori, genetica, forza di volontà e motivazione, dedizione, serietà e come conseguenza di queste caratteristiche personali e del profondo impegno che continuamente viene profuso che deriva la capacità di seguire per anni un buon piano di allenamento e una corretta nutrizione. Difficile dare un valore percentuale, ma ritengo che come caratteristica derivata possa stare intorno a un 20-25% che comunque è notevole.
Tu stai facendo una splendida esperienza personale anche nell’endurance lavorando con atleti di alto profilo, ci sono differenze sostanziali nei due tipi di alimentazioni?
Assolutamente si, in particolare grazie all’aiuto di Stefano Gregoretti (da poco entrato a far parte della grande famiglia FIF) sto lavorando molto su quella parte dell’endurance off-road come il trail-running strizzando l’occhio all’ultra-endurance; per gare di questo tipo sia per il tipo di impegno richiesto sia per la durata abbiamo dinamiche metaboliche completamente differenti che rendono necessario ricorrere a dinamiche di idratazione e alimentazione assolutamente specifiche, per esempio assumendo quantitativi di elettroliti (cloruro e sodio in primis) e di grassi assolutamente improponibili per il nuoto soprattutto sulle distanze in questione.
Non so fino a che punto puoi entrare nel dettaglio ma per un nuotatore di livello quali ritieni siano gli integratori più efficaci?
Si parte sempre dalle basi guardando prodotti consolidati che si utilizzano da oltre 40 anni e continuano a dare risultati positivi, gli irrinunciabili sono sicuramente gli aminoacidi essenziali (eventualmente alternati o abbinati alle proteine del siero del latte), una buona integrazione di micronutrienti e anche se non sembra di elettroliti; molto interessanti a seconda del tipo di disciplina anche gli integratori in grado di supportare la funzione metabolico-energetica muscolare come creatina e beta alanina.
Lavorare con atleti di alto profilo cosa ti lascia sotto il profilo tecnico ed umano? È facile rimanere delusi?
Nella mia esperienza non dipende dal livello dell’atleta ma dalla persona. In passato mi è capitato di esser trattato come una sorta di “servo della gleba usa e getta” sia da atleti top-level sia da perfetti sconosciuti che si credevano inspiegabilmente importanti (della serie anche le pulci hanno la tosse), in questo caso invece è stata veramente una bellissima esperienza in grado di farmi crescere molto sia dal punto di vista umano che personale, questo non solo con Federica ma con tutto lo staff, con la collega Tiziana Balducci (medico di Federica) e soprattutto con Matteo Giunta che anche in alcuni miei momenti di difficoltà, da ottimo coach quale è, con poche mirate parole mi ha dato un grande aiuto a ripartire.
A tuo avviso per essere nella giusta empatia è importante che il nutrizionista sia (o sia stato) a sua volta atleta?
Assolutamente si, anche se hai gareggiato in altre discipline e a livelli molto inferiori, è fondamentale per capire cosa si prova in prossimità di una competizione, quali sono in linea di massima le tempistiche, le difficoltà logistiche, gli stress a cui si è sottoposti, altrimenti proporre un piano nutrizionale diventa solo un esercizio di teoria spesso fine a se stesso, poi ovviamente con il tempo tutto si può imparare ma non è la stessa cosa.
Come vedi e come “vorresti” fosse il rapporto fra allenatore e nutrizionista? Hai incontrato difficoltà?
Assolutamente nessuna difficoltà, vorrei che fosse come quello che ho avuto con Matteo: diretto franco leale e costruttivo; quando hai a che fare con persone che partono prima di tutto dai valori umani tutto il resto si costruisce, o meglio ancora viene da sé.
Tu hai fatto un percorso universitario importante, dalla laurea in scienza e tecnologia del fitness a quella in biologia e poi medicina (fino ad un incarico di insegnamento all’università di Urbino) e, tanto per finire, anche in scienze motorie. C’è qualche cosa che eviteresti di fare e cosa c’è nel tuo futuro? Che ruolo ha la tua famiglia ed i tuoi amici nei successi che hai avuto? Ci sono dei grazie particolari che desideri dedicare?
Rifarei tutto, ogni esperienza, buona o cattiva mi ha insegnato qualcosa ed è una parte importante del mio patrimonio, forse potrei rivedere il timing cercando di non trascurare così tanto la famiglia e gli amici dato che purtroppo il tempo estingue il suo debito e la vita spesso colpisce a sorpresa, portandoci a perdere momenti, occasioni e persone che purtroppo in alcuni casi non riusciremmo più a recuperare. Nel mio futuro direi che si delinea sempre di più l’obiettivo di fare quello che può rendermi curioso ma soprattutto darmi soddisfazione, continuando a fregarmene o se possibile fregandomene ancora di più di quello che la società si aspetta da me e dal mio ruolo, nel mio caso l’endurance è un’ottima metafora della vita, come nel trail-running anche nel mio caso metaforicamente “correre in mezzo a un campo” e non lungo una statale è quello che ti può far sentire realmente libero, anche se questo significa spesso fare scelte che dal punto di vista della carriera e della società altrettanto spesso non sono comprensibili; se non faccio qualcosa che in qualche misura mi stimola e mi soddisfa mi spengo e non riesco ad andare avanti. Confucio diceva che: “facendo il lavoro che ami non lavorerai un giorno!”. Io non riesco ad amare a lungo un lavoro, dopo poco mi annoio, ma amo il concetto di crescere e imparare costantemente cose nuove, è per questo che ho difficoltà ad a scegliere di diventare “specialista” di qualcosa. Famiglia a amici sono fondamentali, quando non ce la fai più sono loro in genere che ti fanno ripartire, purtroppo troppo spesso li ho trascurati. Di grazie ne dovrei dire tanti, ma in particolare direi che quello più grande lo devo alla “Gabuccia” (come la chiamavano in dialetto), mia nonna Giuseppina Gabucci che per prima si è resa conto che potevo fare qualcosa in più rispetto a quello che a 14 anni facevo in officina, ha avuto fiducia in me, e con la semplice frase “ma quando vuole ce la fa!” mi ha dato fiducia.
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