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Chetogenica si o chetogenica no?

Scritto da Marco Neri

DIAMO UNA VALIDA CHIAVE INTERPRETATIVA ALLA FAMIGERATA DIETA “LOW CARB”

Si avvicina l’estate e molti ricercano l’alimentazione magica per mettersi in forma in breve tempo. In tanti ricorrono alle alimentazioni “very Low Carb” abolendo l’uso di carboidrati. Qui si apre un capitolo delicato anche perché non sempre si parla veramente di chetogenica, infatti questa tipologia di alimentazione (che ha anche delle finalità terapeutiche come nella epilessia) non è una vera iperproteica ma la sua chiave interpretativa sono i grassi. In una dieta chetogenica non sono importanti che vi siano tante proteine, quanto molti grassi e, soprattutto, pochissimi carboidrati. Le ricerche ci dicono che se ben programmate e per i giusti tempi queste alimentazioni sono più gestibili e meno pericolose di quanto si possa credere ma rimane il punto fermo che a prescriverle e strutturarle sia un professionista. In Italia (ma anche a livello internazionale) uno dei più grossi esperti delle alimentazioni chetogeniche è il prof. Antonio Paoli che da circa 10 anni ha approfondito tale argomento contribuendo non poco a chiarirne limiti ed efficacia; la lettura dei suoi lavori è fattibile consultanto i portali specializzati. Storicamente la più famosa chetogenica è la Aktins; è però utile ricordare che in tale filosofia alimentare la scelta “0 Carb” è da associare solo al primo periodo, poi subentra un graduale reinserimento di questi ultimi (selezionati nella tipologia) fino a trovare il “punto di equilibrio” quantitativo per quel determinato soggetto.

Stiamo quindi parlando di scelte alimentari che riducono a pochi grammi i carboidrati totali giornalieri, questo senza eseguire riduzioni caloriche particolari, anzi, l’essenza è nella scelta qualitativa degli alimenti più che in quella quantitativa, anche se ultimamente la stessa componente quantitativa viene sempre più rivalutata. Nel concetto di Chetosi l’attenzione è quindi centrata sui grassi, questo perché gli acidi grassi possono facilmente nutrire il muscolo di energia però non possono passare (come tali) la barriera ematoencefalica e di conseguenza non riescono a raggiungere il SNC (Sistema Nervoso Centrale). Importante ricordare che il SNC utilizza una parte considerevole del fabbisogno metabolico energetico ed è logico che questo si faccia sentire in qualsiasi situazione di carenza glucidica, sia essa il digiuno oppure un'apporto nutrizionale a base prevalentemente di grassi e proteine. In quest’ultima situazione l’energia viene prodotta dai corpi chetonici. I Corpi Chetonici sono essenzialmente 3, l’acetone, l’acetoacetato e il 3-idrossibutirrato (tutti derivati da Acetil Coenzima A). I tessuti del SNC possono utilizzare ottimamente i Corpi Chetonici come energia, ma, nella normalità, con situazioni di alimentazioni normo o iper glucidica, questi sono presenti in quantitativo molto basso (< 0.3 mmol) confronto al glucosio (circa 4 mmol).
Per fare in modo che il SNC centrale possa “cambiare il carburante” occorre che la situazione si capovolga con la concentrazione di Corpi Chetonici che supera il glucosio. I Corpi Chetonici possono partire da circa 0.1 mmol dopo il digiuno notturno, salire a 3 mmol dopo 3 giorni di digiuno, fino ad arrivare a 7-8 mmol nei digiuni prolungati (>24 giorni).
Questo del resto può rappresentare un valido sistema di difesa che la macchina umana ha a disposizione per permettere la sopravvivenza anche in situazioni estreme o anomale dove cambia la disponibilità di cibo. Con il calo drastico o l’assenza di carboidrati, glucosio ed insulina calano mentre il glucagone aumenta (ormone che inoltre ha una importante azione lipolitica antagonista a quella svolta dall’insulina). Questa situazione fra l’altro crea la tanto ambita “calma insulinica” , meta ricercata da quasi tutte le alimentazioni di ultima generazione, situazione in cui anche con apporti di cibo consistenti, quindi con conteggi calorici elevati il corpo ha difficoltà a stoccare grasso di deposito (funzione invece che riesce perfettamente in presenza di grossi quantitativi di insulina). Quando la concentrazione di Corpi Chetonici sale fino ad un valore >4 mmol/L si osserva che la fame diminuisce in modo marcato e si registra un effetto definito anoressizzante ed euforizzante; questi ultimi 2 fattori sono quelli che determinano la mancanza di fame dopo i primi 3/4 giorni di dieta e la sensazione di benessere che la maggioranza dei soggetti registra durante questo tipo di nutrizione. Questo descritto non è altro che l’adattamento del corpo alla carenza di glucidi e non deve essere confusa con la pericolosa chetoacidosi associata con un diabete di tipo 1 scompensato. Il diabetico non deve infatti spingersi ad alimentazioni chetogeniche, su di lui c’è una difficoltà metabolica ad utilizzare convenientemente i Corpi Chetonici, inoltre ha difficoltà a tamponare eventuali eccessi nella produzione di Corpi Chetonici (cosa che invece viene fatta senza grandi difficoltà nell’individuo non diabetico). Nel diabetico un eccesso dei chetoni “potrebbe” portare ad una acidosi metabolica con le conseguenze critiche del caso (anche il coma). Le diete chetogeniche inoltre introducono, contrariamente alle condizioni prolungate e non salutari di digiuno assoluto, una quantità adeguata di proteine che possono preservare la massa magra ed essere convertite nella minima quantità di carboidrati necessari. Nelle diete chetogeniche il quantitativo di proteine non deve comunque essere eccessivo, infatti come già detto il carburante principale è derivato da grassi; questo del consumo sconsiderato di proteine è un errore che spesso, soprattutto sportivi e body builder, commettono senza accorgersi che limitando quello dei grassi vanificano la filosofia stessa della dieta.
Inoltre l’eccessivo carico proteico può creare svariati problemi metabolici. Purtroppo nella nostra società esiste la “fobia dei grassi”, una paura quasi atavica che negli ultimi 50 anni ha colpevolizzato questi nutrienti facendoli intendere sempre e comunque come nemici e come componenti da evitare. Tornando alle alimentazioni chetogeniche e con il loro “funzionale” apporto di proteine è da sottolineare come l’introduzione di solo 20-30 g di carboidrati al giorno (quantitativo massimo consentito durante le diete chetogeniche) costringe l’organismo da una parte (come abbiamo visto) ad utilizzare energia da Corpi Chetonici, dall’altra parte a ricavare mediamente altri 60-65 g di glucosio a partire dalle proteine (alimentari, non muscolari) con la neoglucogenesi.
Le diete chetogeniche hanno quindi una loro funzionalità legata a:
• controllo insulinico
• aumento metabolico
• incentivo nel consumo di grassi

Sono però comunque delle diete sbilanciate (considerando “bilanciata” la classica alimentazione mediterranea 60 carboidrati, 20 grassi e 20 proteine). Per questo motivo una alimentazione di questo tipo non può mai essere fatta a cuor leggero e, seppure siano meno pericolose di quello che molti credono, il controllo sia preventivo che da parte di uno specialista è senza dubbio obbligatorio. Si ha infatti che in alcuni soggetti si possano registrare fastidiosi effetti collaterali come cafalea, alitosi, astenia, stipsi.

È quindi ipotizzabile che una tale scelta nutrizionale sia arricchita di vitamine e minerali ed in qualche caso di fibre. Un discorso a parte andrebbe fatto sull’attività fisica durante i regimi chetogenici; infatti ad esclusione dei primi giorni di depauperamento del gicogeno e di non ancora attivazione della chetosi è facile ci sia una stenia generale, poi sembra che le attività a base aerobica si adattino benissimo con un possibile calo nelle parti ad alta intesità; analogamnete le attività ad alta prestazione potrebbero subire un calo di performance, questo senza però essere controindicate; anzi alcuni studi indicano che si potrebbero utilizzare anche in presenza di queste esigenze. Detto questo occorre anche guardare avanti, cioè al “dopo chetogenica”, infatti chi si sottopone diligentemente alle linee guida della chetogenica che il nutrizionista ha indicato, ottiene mediamente dei buoni risultati, il difficile viene quando le persone “si stancano” o decidono autonomamente di tornare alla normalità.

Purtroppo dopo una “cheto” non è possibile pensare di tornare all’improvviso ad una alimentazione normo o iperglucidica, spesso questa scelta è latrice di molti kg di aumento in pochi giorni con effetti devastanti sulla ritenzione idrica e sulla psiche (depressione da insuccesso). Occorre un passaggio graduale ed un tempo congruo che deve essere proporzionato al tempo in cui si è restati in un regime chetogenico. Tutte le diete ipoglucidiche hanno infatti questo rischio che deve essere preventivato considerando un graduale ritorno a regimi più “zuccherini”.

Le diete chetogeniche possono quindi essere un valido sussidio per il dimagrimento, ma occorre conoscerne i risvolti e vanno eseguite con un monitoraggio e una pianificazione che non può essere solo dettata dalla moda, ma fatta dopo una analisi metabolica precedente e poi seguita da un professionista che ne stabilisca i modi ed i tempi.

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