Esercizi di pre-attivazione per il kettlebell training
L’utilizzo del Foam Roller e del kettlebell in un warm up specifico per il rilascio miofasciale e la stimolazione delle principali fasce implicate nel kettlebell training.
Viviana Fabozzi è docente FIF per i settori: Fitness Funzionale, Fitness Group e Personal Trainer.
Andrea Trincossi è fisioterapista miofasciale.
Nel video potete vedere un estratto della master class teorico-pratica che hanno tenuto insieme durante la FIF Annual Convention 2018 a Bologna.
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Il foam roller e i suoi benefici
I foam roller sono rotoli di gomma, liscia o levigata, sempre più utilizzati non solo nella fisioterapia ma anche da sportivi, atleti e frequentatori del fitness, sia per migliorare l’elasticità muscolare, preparando i muscoli allo sforzo atletico, che per accelerare il recupero dopo lo sforzo di un’attività sportiva.
Se lo stretching, soprattutto statico, non serve a migliorare le prestazioni sportive, la conferma della utilità dell’uso dei foam roller come strumento di riscaldamento e preparazione per un allenamento giunge da uno studio di Mike Ross, fisiologo del Gottlieb Center for Fitness della Loyola University:
“Basta pensare ai muscoli come a un fascio di fili: se c’è un nodo, allungarli significa stringerlo ulteriormente, mentre quello che serve è distenderlo. Questo è esattamente quello che permettono di fare i foam roller, distendendo la muscolatura e riducendo il rischio di infortuni”.
Ecco alcuni consigli di Mike Ross su come usare un foam roller:
– Idratarsi prima di fare gli esercizi con il foam roller: con dei liquidi in corpo la pratica del foam rolling migliora anche l’idratazione dei tessuti.
– Prima è bene incrementare la circolazione del sangue vascolarizzando con 5’ di attività motoria i distretti muscolari affaticati con esercizi a corpo libero. I foam roller possono essere usati sia prima che dopo l’attività fisica. Nel loro specifico utilizzo in fase di riscaldamento fungono da preattivatori offrendo il vantaggio di aumentare la circolazione del sangue nei tessuti muscolari.
– Far rotolare il corpo in tutte le direzioni sul foam roller assecondando il senso in cui si sviluppano le fibre muscolari: ci sono fasce longitudinali, fasce latitudinali e fasce trasversali.
– Non usare i foam roller in corrispondenza delle articolazioni. Ad esempio massaggiare prima i polpacci e succesivamente i muscoli della coscia, senza passare direttamente sull’articolazione del ginocchio.
– Nel caso di dolori muscolari o piccole contratture, fermarsi nel punto esatto in cui si avverte dolore permettendo al peso del corpo di premere sul foam roller per sciogliere il muscolo in quella specifica porzione. In ogni caso occorre scivolare lentamente sul foam roller.
– Usarlo tutti i giorni: il foam roller può essere usato anche a casa.
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La respirazione: fondamentale strategia per migliorare la prestazione e il recupero
...riguardo la prestazione…
La respirazione influenza gli schemi motori, la postura, il dolore e la prestazione fisica. Se sottovalutata, e trascurata potrebbe dar vita a modelli respiratori scadenti che alterano la postura e la qualità del movimento, riducendo l'efficienza del gesto tecnico e della eventuale prestazione in competizione.
Un focus costante del trainer deve dunque essere rivolto alla conoscenza di strategie di respirazione efficaci attraverso i quali gli effetti meccanici del flusso d'aria siano adeguati a migliorare il movimento creando condizioni di respiro sufficiente all'azione specifica. Imparare a respirare correttamente è un obiettivo da cui ogni individuo può trarne un grande beneficio!
Il sistema del corpo umano è la risultante di una serie di sottosistemi integrati tra loro e interconnessi, ognuno dei quali svolge un ruolo vitale nelle prestazioni, nel recupero e nello stato di salute generale. Un buon allenatore deve dunque allontanarsi dal modello ormai obsoleto in cui tutto inizia e finisce al sistema muscolare e iniziare ad adottare un modello integrato che tenga conto di tutti i diversi sottosistemi del corpo:
- sistema muscolo scheletrico
- sistema cardiovascolare
- sistema respiratorio
- sistema nervoso
- sistema cognitivo
- sistema digestivo
- sistema endocrino
- sistema esocrino
- sistema renale
- sistema immunitario
….riguardo al recupero…
Anche il recupero è notevolmente influenzato da una respirazione inefficace; per ottenere un recupero ottimale bisogna analizzare attentamente il sistema nervoso.
Il recupero del sistema nervoso è un potente fattore di influenza per riacquistare la capacità di fornire output al sistema muscolare.
Maggiore è lo stress posto al nostro corpo, maggiore è la domanda sul sistema nervoso.
I fattori che influiscono al sovraccarico del sistema nervoso includono:
1. cattive abitudini del sonno
2. problemi di salute persistenti
3. carenza di specifici nutrienti a causa di cattive abitudini alimentari
4. attività fisica intensa
5. cattive abitudini respiratorie.
Una corretta respirazione può spostare il sistema nervoso da uno stato dominante simpatico ad uno stato regolatore tipico del parasimpatico.
….ma sappiamo respirare correttamente?…
Ecco 4 importanti consigli che forniranno un miglioramento alla qualità della nostra vita e un integrazione naturale alla nostra performance:
1. concentrarsi sulla propria respirazione ogni volta sia possibile farlo; i momenti migliori per questa pratica sono quelli relativi a situazioni di calma e rilassatezza che permettono di riconoscere un respiro lento, profondo e silenzioso; successivo step sarà riportare la nostra concentrazione all'ascolto del respiro anche nei momenti di maggiore stress con l'obiettivo di riportare la nostra respirazione più affannata e rumorosa nuovamente calma e silenziosa;
2. sperimentare la differenza tra respirazione toracica e diaframmatica; iniziando sempre da situazioni di relax e successivamente procedendo a situazioni di stress;
3. focalizzare il numero di volte nella nostra giornata tipo in cui portiamo l' attenzione al nostro respiro sforzandosi di osservare che l'aria entri ed esca debitamente dal naso al fine di rallentare il ritmo e l'intensità di ogni atto respiratorio;
4. provare ad applicare una respirazione dal naso durante la pratica di attività sportive aerobiche a bassa intensità al fine di scindere la respirazione dal gesto atletico, respirando lentamente e profondamente; iniziare questa pratica per pochi minuti e aumentare la durata dell'esercizio progressivamente.
Boomerang: esercizio di pilates advanced
In questo nuovo video dedicato al pilates, Donato De Bartolomeo ci mostra un esercizio in grado di aiutarci a migliorare la coordinazione di movimento, l’equilibrio, a rafforzare l’intera parete addominale e ad aumentare la flessibilità di schiena, gambe e braccia. Si chiama boomerang e fa parte degli esercizi del nostro percorso di pilates advanced.
Il prossimo appuntamento è quello di Bologna ed inizia l'1-2 dicembre, poi saremo anche a Milano, Roma e Salerno, vai qui per vedere tutte le date:
https://www.fif.it/index.php/pilates-advanced-training?type=16-PIL-00-000137
DONATO DE BARTOLOMEO è docente FIF per i corsi di pilates e yoga. Specializzato nel fitness olistico è insegnante di pilates e di yoga che ha studiato rispettivamente in USA, in India e in Italia. Possiede un solido background anche nel fitness musicale. Esperto di yoga e dei suoi derivati, è il creatore dei programmi piloga , total body yoga e pilates per la schiena.
Qui trovi il suo curriculum completo: https://www.fif.it/index.php/chi-siamo/pilates-olistico/245-donato-de-bartolomeo
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A che ora fare sport per dimagrire?
La premessa generale
La possibilità di scegliere a che ora fare sport è, per il 99% delle persone, determinata dal lavoro, dalla famiglia e dagli altri impegni della giornata. E quindi molto meglio allenarsi quando si può, anche se non sarebbe l’ora giusta per fare sport, che non fare nulla, ovvio. Da un punto di vista puramente fisiologico c’è un orario migliore della giornata per fare sport, e dipende dall’orologio biologico, o meglio dal ritmo circadiano che regola l’alternanza di sonno e veglia. Tuttavia tutto questo è valido in condizioni puramente ipotetiche, perché poi ci sono lo stress, le abitudini alimentari, le alterazioni del sonno e molti altri aspetti che possono influire sulle nostre condizioni psico-fisiche.
Fare sport al mattino risulta teoricamente molto vantaggioso per chi vuole sviluppare doti di forza in quanto i livelli di testosterone sono al massimo, ed è noto come i livelli ematici, cioè circolanti nel sangue, di questo ormone sono direttamente collegati con la massa muscolare. Tuttavia per l'obiettivo forza è importante approdare all'allenamento mattutino dopo aver fatto una corretta prima colazione.
Da un punto di vista puramente fisiologico l’ora migliore per fare sport è il tardo pomeriggio quando la temperatura dei muscoli è massimale. L’innalzarsi della temperatura dei muscoli è legato al meccanismo interno che determina l’alternanza tra sonno e veglia e ovviamente funziona se si conduce una vita regolare.
Dati i ritmi serrati che la società attuale ci impone, fare sport di sera è la situazione più diffusa per molti se non moltissimi, ma sconta tante difficoltà pratiche della vita quotidiana: pasti irregolari o inadatti a fare sport, stress, calo di motivazione dopo una giornata di lavoro, ritardi e tutto quanto può capitare in una giornata “normale”.
Data la premessa, il tardo pomeriggio o l’imbrunire rappresentano la fascia oraria ideale per allenarsi dal punto di vista delle prestazioni, tuttavia se l’allenamento finisse poche ore prima di coricarsi per la notte, potrebbe influire sulla capacità di prendere sonno, riducendo la possibilità di riposare a sufficienza per permettere al fisico di recuperare. Per lungo tempo, infatti, molti studi scientifici hanno sconsigliato di praticare sport nelle 4 ore precedenti il momento di coricarsi in quanto la pratica sportiva avrebbe un potere “eccitante” dal punto di vista ormonale, cerebrale e fisico tale da rendere difficile l’addormentarsi.
Tuttavia bisogna segnalare anche alcuni studi più recenti condotti in Svizzera secondo i quali un allenamento breve ed intenso che termini 1 ora e mezza prima di andare a dormire faciliterebbe l’addormentamento, ridurrebbe il numero di risvegli nel corso della notte, migliorerebbe il riposo e l’umore al risveglio il mattino dopo.
La scelta strategica per il dimagrimento
Se l’obiettivo è quello di perdere peso, l’ora migliore in cui fare sport per dimagrire potrebbe essere il mattino, appena svegli, prima di fare colazione; infatti dopo una notte di digiuno, e quindi a stomaco vuoto, la prima fonte di energia a cui il corpo si rivolge sono i grassi. Per molti fare sport a stomaco vuoto potrebbe non essere la migliore delle soluzioni, tuttavia un allenamento di 30′ che stimoli il metabolismo dei grassi, è sostenibile anche a stomaco vuoto. Numerosi sono gli studi scientifici condotti sull'argomento e benché non abbiano rilevato differenze sostanziali in termini di perdita di peso tra chi si allena al mattino e chi fa sport la sera, è stato altresì riscontrato un incremento dell’attività metabolica durante il giorno, cioè una maggior capacità di bruciare energia da parte del corpo.
Le Conclusioni
Nel rispetto dei risultati dimostrati da tutti questi studi scientifici, un elemento dominante è rappresentato dalle diversità spiccate tra un essere umano e l'altro. I ritmi, le scelte e gli stili di vita possono influire su motivazioni, disponibilità di tempo ed energie da investire nello sport; pertanto assume una importanza fondamentale trovare una propria routine che renda l’allenamento e la pratica dello sport una regolare e naturale abitudine della propria quotidianità.
L'allenamento multisensoriale all'aperto: una strategia body & mind per il baby fitness outdoor
Partendo dal principio secondo il quale stare in mezzo alla natura è uno dei segreti della longevità questa estate in diverse località di montagna sono state ideate e sperimentate delle cosiddette escursioni multisensoriali, con un duplice scopo di:
1. Allenare in perfetta armonia grandi e piccini;
2. Valorizzare turisticamente il territorio in modo originale e rilanciarlo come “meta di pellegrinaggio” del benessere outdoor per l'intera famiglia.
DUE GLI ELEMENTI CHIAVE DELL'ALLENAMENTO MULTISENSORIALE OUTDOOR: LA PASSEGGIATA LEGGERA E L'ENERGIA POSITIVA
LA PASSEGGIATA LEGGERA
Si tratta di una passeggiata leggera adatta a tutti i soggetti in cui scoprire la natura immergendo il più possibile i sensi dentro di essa. Un percorso in cui una guida esperta conduce i partecipanti nell’esecuzione di alcuni esercizi per entrare in comunicazione con la natura e ascoltare la propria voce interiore.
L'ENERGIA POSITIVA
La sua importanza nasce come conseguenza di molti studi come quello di seguito citato, che concordano tutti sui benefici che il contatto con la natura porta all'essere umano. In sostanza si fa il pieno di energia positiva, allontanando lo stress e risvegliando i sensi.
DUE GLI STUDI DI TIPO SCIENTIFICO E PEDAGOGICO ALL'ORIGINE DEL PROGETTO MULTISENSORIALE
LA RECENTE RICERCA SCIENTIFICA
Al fine di dare un senso e un peso specifico al progetto multisensoriale è interessante riportare i risultati di una ricerca condotta dalla University of California e pubblicata sulla rivista scientifica Computers in Human Behavior.
Tale ricerca ha dimostrato che bastano pochi giorni di distacco assoluto dai dispositivi elettronici e di immersione nella natura per innalzare sensibilmente la capacità di percepire il linguaggio emotivo. Lo studio è stato condotto come segue: gli studenti di una scuola elementare pubblica della California del Sud sono stati sottoposti a due batterie di test per comprendere la loro capacità di interpretare le emozioni altrui: il primo test consisteva nell’osservare dei volti di bambini e adulti e nel descrivere le emozioni che sembravano provare; il secondo test consisteva nel vedere un breve video muto con scene quotidiane di vita scolastica e domestica e nell’interpretare il linguaggio non verbale dei protagonisti.
La classe è stata poi divisa in due gruppi: uno ha continuato le normali attività scolastiche e ha continuato a utilizzare tablet e altri dispositivi elettronici come di consueto; l’altro gruppo è stato condotto per 5 giorni presso un camp nella natura, dove gli studenti hanno seguito le normali lezioni scolastiche e partecipando anche a escursioni e attività nella natura, senza avere la possibilità di utilizzare dispositivi elettronici.
Al termine dei 5 giorni sono stati rifatti i due test iniziali: il gruppo di studenti che aveva partecipato al camp outdoor ha ottenuto punteggi sensibilmente più alti non solo rispetto al test iniziale ma anche rispetto all’altro gruppo di controllo.
LA STORICA PEDAGOGIA “PIZZIGONIANA”
I risultati della ricerca sopracitata fortificano gli importanti obiettivi sviluppati dalla pedagogista italiana Giuseppina Pizzigoni (1870-1947) che operò contemporaneamente a Maria Montessori. La pedagogia cosiddetta “pizzigoniana” ha il merito di aver messo a punto una didattica che parte dalla relazione con la natura come mezzo per raggiungere obiettivi eduvcativi-didattici importanti per lo sviluppo globale del bambino. Il maestro che si esprime attraverso questa metodo pedagogico non è colui che fa lezione fra i banchi, ma è colui che guida il bambino all'osservazione e all'esercizio dei sensi. I programmi della Pedagogista pertanto hanno sempre parlato di Educazione Fisica all'aperto e di educazione ai sensi per il raggiungimento di specifici obiettivi:
a) vista: valutazione della forza visiva, esercitazioni del senso cromatico, esercitazioni varie per il concetto delle distanze, esercitazioni per il concetto delle figure;
b) udito: vari e diversi suoni e rumori; introduzione alla musica: canto e orecchio di semplici canzoni, suonare e ascoltare le stesse canzoni (audizioni); allenare la ritmica: passi in camminata lenta, veloce, passi composti a suon di musica;
c) olfatto: valutazione della sensibilità olfattiva attraverso l'identificazione di corpi odorosi e inodore, buoni e cattivi odori.
d) gusto: degustazioni del dolce, salato, amaro e acido;
e) tatto: percepire, il caldo e il freddo, il liscio e il ruvido.
Massoterapia ed elettromedicali, un aiuto nel recupero post allenamento
“CIÒ CHE MAGGIORMENTE HA DATO UN RISULTATO APPREZZABILE È STATO L’AVERE SOMMINISTRATO, DOPO LO STRETCHING ANALITICO, UNA SEDUTA DI 15 MINUTI DI TECARTERAPIA IN MODALITÀ CAPACITIVA, SUBITO SEGUITA DA UN MASSAGGIO DECONTRATTURANTE NON TROPPO PROFONDO E DA 15 MINUTI DI RIPOSO IN POSIZIONE SUPINA.”
Di quanto sia importante il recupero nel post allenamento e di come si possa massimizzare tale corridoio temporale si è già parlato molto; ma, senza scomodare la curva della Supercompensazione o il concetto di Omeostasi del dr. Cannon, potremmo una volta tanto cambiare prospettiva.
Generalmente si riconduce la durata della seduta allenante a 60’-70’, tempo variabile a seconda dei soggetti, viste le innumerevoli differenze interindividuali. Successivamente all’allenamento, si può riposare (recupero passivo), si può svolgere dell’attività motoria leggera non organizzata come una passeggiata (recupero attivo), si può terminare la sessione con dello stretching, eventualmente anche molto tecnico come il P.N.F.
La pratica clinica quotidiana mi ha portato, insieme al gruppo di lavoro che guido da qualche anno, a provare un approccio diverso al problema “recupero” mostrando risultati davvero incoraggianti. Mi sono infatti chiesto se una seduta di massaggio decontratturante immediatamente post workout, un’applicazione di circa 10’ di Tecarterapia, l’elettrostimolazione, lo stretching passivo, l’abbinamento di tutte queste variabili, o solo di alcune, potesse accelerare in misura apprezzabile i processi di riparazione e ripristino strutturale, permettendo una nuova e altrettanto intensa sessione di allenamento a distanza di 24 ore.
Inizialmente l’attenzione è stata focalizzata sul programma di allenamento e sull’atleta, una scelta non ovvia dato che, nel caso specifico, si è trattato di parametrare il “fortunato” su base quotidiana/settimanale/mensile: appetito, irritabilità, aggressività, ritmo sonno-veglia, insorgenza di crampi, qualità delle urine, ph, emocromo, etc… Il programma (forza submassimale) è stato seguito per 4 settimane, per 5 sessioni su un microciclo di 7 giorni, senza cambiamenti nella struttura, annotando qualunque specifica di ogni sessione per poter confrontare in maniera capillare ciascuna settimana con la precedente. Alla fine di ogni sessione, il volontario è stato sottoposto a una delle pratiche sopra elencate in forma cumulativa e incrociata in maniera incrementale su base giornaliera. Al termine di ogni settimana sono stati valutati l’emocromo, il ph, le urine, lo stato di benessere/malessere generale e, banalmente, il risultato sul campo. La raccolta dati ha coinvolto 3 persone, oltre a me in qualità di supervisore/operatore, ed è stata effettuata la ripresa video di ogni sessione utilizzando la match analysis, in modo da poter eseguire confronti su perizia tecnica, capacità raggiunte, frequenza cardiaca, vascolarizzazione, etc… A distanza di 4 settimane dall’inizio del programma, i dati raccolti sono stati esaminati per trarre delle conclusioni. La settimana successiva all’analisi dei dati, assieme al gruppo di lavoro abbiamo dato inizio a un nuovo progetto su base mensile, identico ma con un nuovo atleta; il tutto si è ripetuto nuovamente, per un totale di 3 casi esaminati nell’arco di poco più di tre mesi. Questi i risultati, incredibilmente simili nei coefficienti percentuali:
Riassumendo, ciò che maggiormente ha dato un risultato apprezzabile è stato l’avere somministrato, dopo lo stretching analitico, una seduta di 15 minuti di Tecarterapia in modalità capacitiva, subito seguita da un massaggio decontratturante non troppo profondo e da 15 minuti di riposo in posizione supina. Il massaggio decontratturante come tecnica ausiliaria a fini prestazionali e non terapeutici ha mostrato di apportare immediato sollievo e senso di leggerezza dell’area trattata in differita: le fasce muscolari, aiutate a riposizionarsi in allungamento, non hanno dunque prodotto le classiche retrazioni a livello delle catene cinetiche.
La Tecar come terapia antalgica ha fatto da amplificatore, contribuendo a evitare sin da subito l’instaurarsi di fastidiose infiammazioni sia a livello fasciale che a livello connettivale. Il sonno non profondo ma inserito immediatamente dopo le pratiche elencate, ha donato infine un ulteriore senso di benessere agendo sul cortisolo plasmatico post esercizio in senso migliorativo. Attualmente stiamo pianificando una nuova ricerca che abbia come focus il genere femminile; l’ipotesi di partenza, che vorrei verificare, si orienta verso la ricerca di risultati percentualmente migliori, stante una partenza per natura limitata da un sistema endocrino-ormonale meno premiante.
Il fitness outdoor
ESTATE: LA PALESTRA SI TRASFERISCE AL PARCO
Con la bella stagione sono molti quelli che preferiscono allenamenti all’aperto e così palestre e istruttori stanno organizzando workout outdoor per soddisfare anche queste giustificate richieste. Durante l’estate i clienti lasciano la palestra per gli spazi all’aria aperta. A volte lo fanno a malincuore perché privi dell’istruttore o dei compagni di allenamento. Molti di loro sarebbero contenti di poter affrontare allenamenti di gruppo all’aperto con tanto di istruttore e con una programmazione tecnica professionale e attenta. È sufficiente allora per la palestra rendere disponibile questo servizio per alcune sedute alla settimana che preveda anche forme di allenamento diverse. Una formula che può rivelarsi strategica anche per acquisire nuova clientela per i mesi invernali e una nuova opportunità per i titolari o gestori dei centri fitness, che potrebbe diventare strategica per una fidelizzazione più concreta e duratura dei clienti storici. Vediamo insieme quali sono gli aspetti in grado di garantire un maggior numero di clienti attraverso programmi di fitness outdoor.
1. Creare un programma di fidelizzazione a lungo termine
Programmare allenamenti all’aria aperta permette di prolungare il palinsesto delle lezioni Indoor dando loro un aspetto innovativo e rigenerando la forma fisica dei clienti attraverso alcuni importanti benefici quali:
- rafforzamento delle difese immunitarie, grazie ad un maggiore assorbimento di vitamina D.
- riduzione del rischio di noia; cambiare scenario, variare l’impronta paesaggistica, diversificare i percorsi, rappresentano sempre un nuovo inizio.
- riduzione dello stress; è stato dimostrato che l’esposizione alla luce del sole riduce i sintomi della depressione e aumenta ulteriormente il livello di endorfine.
- Migliorare l’umore; l’aria fresca e una maggiore circolazione di ossigeno nel sangue stimolano il rilascio dell’ormone della felicità, la serotonina.
- Favorire la concentrazione grazie al diretto contatto con la natura.
2. Fornire un servizio eccellente ai clienti
Favorire i desideri dei clienti legati al loro stato di forma fisica anche nei periodi caldi pone certamente gli stessi al centro dell’interesse delle palestre; inoltre permette di approfondire la conoscenza della personalità dei singoli clienti, attraverso la scelta di figure professionali dello staff tecnico con capacità di ascolto e dedizione idonee a questo scopo.
3. Premiare l’impegno e la frequenza fedele dei clienti
A tale scopo una strategia può consistere nell’organizzare specifici challenge di fine anno sportivo, con appositi premi fedeltà, che vedano i clienti più fedeli come atleti di punta delle squadre, con tanto di scelta di un capitano. In questo modo si risponde anche a diversi aspetti psicologici molto importanti legati all’allenarsi in gruppo verso un obiettivo comune: aumentare la spinta motivazionale per affrontare meglio la fatica fisica, aumentare l’empatia e la sintonia tra i clienti e tra questi e l’istruttore.
4. Creare canali “social” di condivisione
Un profilo Facebook o un sito web professionali del centro fitness di appartenenza ed ancora chat di gruppo sono alcune degli attuali canali di socializzazione e fidelizzazione utilizzati in tutti i settori. Pertanto sarà importante integrare alla serie di allenamenti di Fitness outdoor una rete di social gestita per condividere, attraverso foto o video, gli allenamenti appena svolti, per incuriosire i clienti attraverso degli assaggi di esercizi o set di lavoro che caratterizzeranno le successive sedute, per aumentare la consapevolezza di una vera e propria intersegmentazione dei protocolli invernali indoor con quelli estivi outdoor. Non ultima per importanza è la strategia di utilizzare i social network per ringraziare “pubblicamente” i clienti per il loro impegno fisico esaltandone le gesta, e rendendoli importanti attraverso la realizzazione di un reportage completo delle loro performance.
Il fitness outdoor si rivela una strategia commerciale che consente di allenarsi con “profitto”, aumentando le entrate di cassa delle palestre in periodi che generalmente “no profit”, grazie all’utilizzo di spazi ed attrezzature che non prevedono ulteriori spese di locazione e di manutenzione, e al contempo aumentando per i clienti la propria prestazione fisica e la possibilità di godersi al massimo le lunghe giornate di sole.
L'allenamento neuromuscolare per l'atleta di prestazione
È L’ALLENAMENTO DI TUTTI I SENSI MIGLIORANDO LA REATTIVITÀ, LA PERFORMANCE, L’INCREMENTO DEL CONSUMO CALORICO, LA RIDUZIONE DEL RISCHIO DI INFORTUNI E ALTRO.
L’incremento delle unità motorie, la superiore attività cerebrale utilizzata per gestire gli impulsi improvvisi e la maggiore attivazione muscolare garantiscono un importante miglioramento delle prestazioni durante la competizione. L’allenamento neuromuscolare prevede l’utilizzo di stimolazioni propriocettive (sonore, luminose e tattili) oppure intrusioni o sconvolgimenti motori repentini che durante il gesto motorio costringano l’atleta ad attivare rapide modificazioni neuromuscolari.
Sia negli sport di prestazione che nelle attività lavorative di tutti i giorni ci troviamo di fronte a situazioni imprevedibili in cui la prontezza di riflessi e la reazione rappresentano il cuore del benessere psico-fisico e il raggiungimento del risultato. Mente e corpo sono interconnessi tra loro e, nel momento in cui accade qualcosa di imprevisto, dobbiamo reagire rapidamente per evitare un infortunio, cambiare un’azione di gioco, riadattare la postura, etc. L’essere umano riceve informazioni attraverso gli esterocettori (vista, tatto, udito, etc.) che lo dispongono in rapporto all’ambiente esterno. I propriocettori (organi sensitivi specializzati come organi tendinei del golgi e fusi neuromuscolare), invece, dispongono le differenti parti del nostro corpo in rapporto tra loro in modo prestabilito e talvolta creano riflessi per evitare traumi.
Al vertice troviamo i centri superiori (neuroni) che integrano i vari settori e i processi cognitivi e che rielaborano i dati ricevuti dalle due fonti precedenti attraverso reazioni biomeccaniche e biochimiche che determinano il benessere del nostro corpo. Da sempre uno dei limiti della classica sala fitness e del bodybuilding è la non abitudine a rispondere a situazioni improvvise e impreviste. Fortunatamente questo limite, da anni, è stato colmato dalla “nascita” e dallo “sviluppo” dell’allenamento funzionale la cui finalità è quella di migliorare la performance specifica della disciplina sportiva, il miglioramento della salute e in generale della vita quotidiana. Lo sviluppo economico ha portato un lento ma progressivo distacco dell’uomo dal contatto con la natura e lo ha reso sempre più sedentario. Questo nel tempo ha peggiorato le nostre abitudini motorie.
Da sempre l’essere umano è stato abituato a muoversi su superfici instabili, con vento o pioggia e altri fattori inaspettati, che portano reazioni neuromuscolari più forti, più frequenti e meno prevedibili dando meno tempo per pensare in maniera conscia. Anni fa si programmava l’allenamento isolando il muscolo, eseguendo quindi molti esercizi mono-articolari per lo stesso, spesso svolti con attrezzature da palestra standardizzate. L’allenamento moderno invece prevede che la maggior parte, se non la totalità del lavoro, preveda esercizi multi- articolari e a corpo libero. Questo perché, negli sport di prestazione e nella vita quotidiana, il corpo non attiva mai un singolo muscolo per volta. Così anche l’allenamento in sala pesi è stato drasticamente modificato creando (o meglio riscoprendo) il Functional Training che, invece, allena le catene muscolari nella sua totalità aumentando notevolmente anche la sinergia muscolare con incrementi significativi anche di forza e del metabolismo basale.
Come possiamo ottimizzare questo tipo di allenamento rendendolo ancor più specifico per la singola disciplina sportiva e magari migliorando anche i sensi umani? Per aumentare la prestazione in molte discipline sportive deve esservi, oltre all’adattamento muscolare, l’allenamento di tutti i sensi migliorando la reattività, la performance, l’incremento del consumo calorico, la riduzione del rischio di infortuni e altro. Tutto ciò viene definito “Allenamento Neuromuscolare”. L’incremento delle unità motorie e la superiore attività cerebrale utilizzata per gestire gli impulsi improvvisi e la maggiore attivazione muscolare garantiscono un importante miglioramento delle prestazioni durante la competizione. Per migliorare l’atleta nella sua totalità si aggiungono ai classici allenamenti svariati elementi che possano dare differenti impulsi dinamici inaspettati (a volte casuali mentre a volte guidati dal trainer ma a sorpresa per l’allievo), obbligandolo ad adattarsi e a reagire in maniera istintiva ed efficiente tenendo alta sia la concentrazione che la soglia di attenzione. Questo avviene grazie all’utilizzo di stimolazioni propriocettive (sonore, luminose e tattili) oppure grazie a intrusioni o sconvolgimenti motori repentini che durante il gesto motorio costringono l’atleta ad attivare rapide modificazioni neuromuscolari, aumentando il livello dell’allenamento, migliorando i parametri sopraelencati con effetti positivi sulla performance e riducendo inoltre il rischio di infortuni e il recupero in fase di riabilitazione. Gli allenamenti dovranno quindi essere imprevedibili. Si utilizzano destabilizzatori come tavolette propriocettive, bosu balance, superfici scivolose o irregolari e altro personalizzandoli in base all’utente e alla sua disciplina sportiva. I carichi utilizzati saranno irregolari e asimmetrici perché, al di fuori della palestra, i sovraccarichi non sono bilanciati e spesso sono in movimento. In ultimo si dovranno alterare anche stimoli sensoriali come luce, suoni e altro, basti pensare a un’attività all’aperto in penombra o con troppa luce o comunque dove l’atleta dovrà reagire immediatamente alla visione di qualcosa o dopo un suono (per esempio, lo scatto iniziale dopo lo start per i centometristi o la partenza al semaforo verde per i piloti). La reattività, come ben noto, è un parametro fondamentale per quasi tutti le attività sportive ma non dobbiamo sottovalutarne l’importanza anche nella vita quotidiana al lavoro, per strada, etc., questo indirettamente calerà drasticamente il rischio di infortuni perché allena il sistema nervoso ad agire in maniera ottimale abbinando la logica all’istinto. Da ricordare anche che una maggiore attivazione neuromuscolare incrementa l’attività metabolica nella stessa unità di tempo creando un dispendio energetico superiore utile all’ossidazione lipidica.
PRINCIPI BASE DI ALLENAMENTO NEUROMUSCOLARE:
• Utilizzare destabilizzatori: Bosu Balance, acqua, sabbia, piani inclinati e/o in movimento.
• Utilizzare luci o suoni: scatto o movimento specifico con la visione di un colore, sentendo uno specifico rumore oppure premendo un pulsante quando si accende o si sente un suono (reattività).
• Utilizzare numeri o codici o parole chiave: durante l’allenamento si possono utilizzare numeri, parole o codici per predisporre il sistema neuromuscolare in determinate condizioni. Per esempio, nelle arti marziali spesso si abbina un numero d un colpo da eseguire, quindi si eseguono sequenze di attacco derivate da sequenze numeriche.
• Utilizzare attrezzi disomogenei e/o di varie densità: i materiali all’interno (sabbia o acqua) rendono l’attrezzo instabile, imprevedibile, flessibile e funzionale.
• Limitare i sensi: ridurre parzialmente o totalmente la vista o l’udito per aumentare l’utilizzo degli altri sensi e riprodurre in certi casi delle situazioni limitanti che si possono ritrovare in gara.
Prima di stilare una scheda di allenamento, valutare sempre il livello di preparazione dell’atleta che stiamo seguendo e fare test funzionali come prove di equilibrio, riflessi, resistenza, forza, etc.. In seguito sarà di fondamentale importanza riprodurre al meglio quelle che sono le circostanze di gara durante l’allenamento (abbigliamento, orario della prestazione, alimentazione pre-gara, meteorologia prevista e temperatura esterna, attrezzi che utilizzerà, sopportazione dello stress e altro). Questi sono parametri soggettivi o esterni che a volte si possono prevedere mentre a volte questo risulterà impossibile. Oggi sul mercato si trovano strumenti e attrezzature molto utili che possono aiutare gli allenatori a rendere l’allenamento ancor più preciso, personalizzato, funzionale e realistico. La base resta sempre e comunque lo studio a 360° delle caratteristiche del singolo atleta e della competizione che è sempre unica nel suo genere, viste le numerose variabili che cambiano di continuo. Il trainer quindi dovrà avere la capacità e sensibilità di conoscere, elaborare e adattare anche i minimi dettagli che, spesso trascurati, alla fine in gara e nella vita faranno indubbiamente la differenza.
Qual è la bibita ideale?
NELLE STAGIONI CALDE COSÌ COME IN QUELLE FREDDE, PER TUTTI GLI ATLETI SI RIPROPONE SISTEMATICAMENTE IL DILEMMA DELLA SCELTA DELL’INTEGRATORE IDRO-SALINO PIÙ EFFICACE. MA CERCHIAMO DI VALUTARE QUANTO È DAVVERO NECESSARIO IL LORO UTILIZZO.
Un integratore idro-salino è un mix di acqua e sali minerali, in opportuna concentrazione e la sua finalità è quindi quella di ripristinare le riserve di questi elementi nel nostro organismo, riserve che possono essere temporaneamente deficitarie per effetto di una qualche causa. L’acqua corporea può infatti esser persa durante l’attività fisica in quantità molto rilevante sia con la sudorazione, che con la ventilazione, che sono alcuni fra i meccanismi che l’organismo mette in atto per mantenere costante la temperatura corporea. Durante l’attività fisica si attua una ridistribuzione del circolo ematico che è volta a favorire un maggior apporto di sangue ai muscoli in attività. Ciò avviene attraverso una mobilizzazione del sangue dal distretto splancnico (area dei visceri addominali), sia ai muscoli in attività che alla cute, attraverso la quale, con la sudorazione, viene dissipato l’eccesso di calore prodotto. Al termine di competizioni di resistenza molto durature, sono state quantificate nell’atleta perdite idriche (naturalmente reintegrate nel corso delle prestazione stessa) sino a 5 litri, comprese tra il 6 ed il 10% della massa corporea. Perdite idriche dell’ordine del 5% della massa corporea si accompagnano ad una riduzione della capacità di termoregolare ed ad alterazioni della funzione cardiovascolare con riduzione della capacità di eseguire lavoro fisico.
Quali sono le attività sportive che richiedono realmente l’uso di integratori idro-salini?
Vi sono delle attività particolarmente a rischio di squilibrio idro-elettrolitico rispetto ad altre e tra queste lo jogging prolungato ed/o ad andatura sostenuta, il ciclismo ed il pattinaggio su strada, la mountain bike ed il canottaggio. Ma anche sport di squadra ad impegno misto (aerobico anaerobico alternato) calcio, basket, o ancora benché non classificabili come sport di squadra il tennis, la boxe e tanti altri. Tra le attività che mettono a dura prova l’atleta sotto questo profilo non si può fare a meno di citare classiche attività di “endurance” quali la maratona e la supermaratona ed ancora il triatlhon. Mentre tra le attività di palestra si possono citare lo spinning bike, il cardiofitness, ma in generale tutte le discipline ad impegno “puramente aerobico o misto”soprattutto se prolungate. Il rischio è naturalmente accentuato, per le attività che si svolgono all’aria aperta, caratterizzate da condizioni ambientali sfavorevoli di temperatura, umidità e ventilazione. Sono viceversa poco utili quelle integrazioni effettuate durante lo svolgimento di attività di potenza soprattutto se eseguite in una sala attrezzi ben condizionata, attività che raramente si associano a significative perdite idriche.
Quando e quanto idratarsi?
Per gli atleti che stanno per affrontare una prestazione o un allenamento particolarmente stressante si suggerisce, una idratazione preventiva o “iperidratazione” che andrebbe effettuata almeno 20 minuti prima della gara con l’assunzione di 400-600 ml di una soluzione idrosalina, in modo tale da poter avviare con qualche anticipo il suo assorbimento a livello intestinale, a cui far seguire l’assunzione di 150-250 ml ad intervalli di 15 minuti durante la prestazione, se prolungata.
Qual è la temperatura ideale?
La temperatura della bevanda si suggerisce intorno ai 5 °C o comunque fresca al fine di facilitare lo svuotamento gastrico e quindi l’assorbimento intestinale, tuttavia è importante fare molta attenzione alle bevande eccessivamente fredde perché potrebbero provocare reazioni pericolose!
Come possono essere reintegrati il sodio e il potassio?
Il sodio perso con una sudorazione entro i 3 litri può essere facilmente recuperato aggiungendo un pizzico di sale da cucina in più nelle pietanze. Per sudorazioni maggiori invece è opportuno aggiungere 3 g (circa mezzo cucchiaio da te) per litro d’acqua al fine di ottenere una soluzione con composizione molto simile allo stesso sudore. Un ulteriore scopo dell’aggiunta di sodio, che è indipendente dall’entità della sudorazione, è anche quello di tenere vivido il senso della sete che talvolta nell’atleta viene avvertito troppo tardi, da non prevenire un iniziale stato di disidratazione. La concentrazione di sodio nel sangue natriemia o sodiemia viene mantenuta a livelli compresi tra 135 e 145 mmol/L. L’iponatriemia o iposodiemia rappresenta una condizione clinica in cui la concentrazione di sodio nel sangue è inferiore rispetto alla norma. In condizioni fisiologiche, Si parla di iponatriemia (od iposodiemia) quando tale valore scende al di sotto dei 135 mmol/L. I casi più comuni riguardano una iposodiemia lieve (valori superiori a 125 mmol/L e minori di 135 mmol/L), i sintomi sono leggeri, vaghi, o del tutto assenti; quando presenti si tratta di sintomi di natura gastrointestinale, del tipo nausea o vomito. Per concentrazioni inferiori di sodio, i sintomi si accentuano. In tal caso si documentano spesso tra gli altri i seguenti sintomi: allucinazioni, crampi e debolezza muscolari, ipotensione, mal di testa, rallentamento dei riflessi, secchezza delle fauci e conseguente sete intensa, sonnolenza grave, tachicardia. Per ciò che riguarda il potassio la dose dietetica consigliata è di 3.000 mg/die sia per gli adulti che per i bambini tra i 10 e i 18 anni. Per età inferiori si passa da dosi di 1.000 mg/die (fascia 1-2 anni) a dosi di 1.600 mg/die (fascia 6-9 anni). Il potassio, essendo rispetto al sodio più concentrato all’interno delle cellule, inizia a ridursi significativamente solo in condizioni di disidratazioni molto elevate; in tal caso si può facilmente recuperare consumando alimenti che ne possiedono una ricca quantità come banane (385 mg per 100g), succo d’arancia o albicocche secche (1126 mg per ogni 100 g), avocado (485 mg per ogni 100 g), uvetta essiccata (864 mg per ogni 100g), mandorle dolci (780 mg per 100 g). Una carenza di potassio può provocare disturbi cardiaci, debolezza e diminuzione del tono muscolare, crampi, stanchezza, stitichezza, disidratazione cellulare e formazione di edemi.
...e le aggiunte energetiche?
Per quanto riguarda le aggiunte “energetiche” spesso presenti nella composizione di tali bevande l’efficacia di addizionarle disciolte assieme ai sali, si è dimostrata efficace nel supportare la prestazione. La quantità ottimale di tali carboidrati dovrebbe essere compresa tra i 5 e gli 8 g % (1 cucchiaino o un cucchiaino e mezzo in 100 ml di acqua) ciò che dovrebbe assicurarne una assunzione dell’ordine di circa 30-60 g l’ora. Sono da preferire quei carboidrati a catena corta quali le maltodestrine (costituiti da 3 a 20 molecole di glucosio), che oltre ad assicurare un lento rilascio di energia sono osmoticamente meno attivi. Per quanto riguarda il fruttosio, questo non è da preferire al glucosio in quanto è responsabile di un assorbimento d’acqua inferiore a quella del glucosio che avviene fra l’altro in tempi più prolungati. Degno di nota è infine, un accorgimento per soddisfare il piacere del gusto; infatti una semplice aggiunta del succo di un limone o di un’arancia renderà la nostra bibita da gara piacevolmente appetibile, e perché no, sarà anche accettabile per l’economia delle nostre tasche!