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Andrà tutto bene?

Scritto da Marco Neri

Da un punto esclamativo che enuncia un tono enfatizzante di una forte sensazione siamo passati oggi ad un grande punto interrogativo

 

Questa frase “motivazionale” caratterizzata da un punto esclamativo fatto di importanti speranze, ci ha accompagnato per buona parte di questi 50 giorni fra limitazioni e lockdown. All’inizio tutti sui balconi e spot pubblicitari sul senso di unità e riscoperta dei valori fondanti nazionali. Giusto, anzi questi sentimenti e l’esposizione del tricolore non dovrebbero essere riservati solo ai momenti di crisi o per le partite della nazionale.

Ora però è altrettanto giusto interrogarsi su come andrà veramente il dopo. Lungi da me il lanciarmi in disamine politiche su come è stata affrontata la crisi; sono noti a tutti i problemi dei vari “bonus”, del loro rinnovo, dell’acceso ai crediti a fondo perduto (speriamo), magari affiancati a crediti a tasso 0 (reale) ma soprattutto veramente fruibili in modo facile ed immediato e non solo dopo un percorso di guerra combattuta a suon di certificati e attestazioni. In questo scritto vorrei piuttosto analizzare il settore fitness / wellness, come ha subito gli “eventi”, cosa ci aspetta e perché tanta incertezza su come si dovranno “gestire” in nostri centri. Ovvio che la prima risposta è legata al fatto che i centri sportivi e palestre siano luoghi di grande aggregazione dove, causa l’attività fisica, la diffusione delle “Droplets” emesse con la respirazione è elevata. Non si discute quindi la chiusura ma qualche osservazione in più si può invece fare sulla riapertura. Come Federazione abbiamo fatto di tutto, appellandoci a ministri e regioni, ricorrendo ad ogni altra attività possibile per iniziare a distinguere il piccolo centro di PT (che poteva riaprire subito il primo giorno di ripresa) dalla palestra più tradizionale. Contemporaneamente con l’avvio della fase 2 ci è sembrato inconcepibile che si potesse fare attività all’aperto ma non organizzata da un PT con suoi clienti o da una palestra (anche qui fortunatamente molti comuni hanno fatto ordinanze chiarificatrici).

La domanda che ci si pone è come sia possibie che un mondo che racchiude centinaia di migliaia di operatori non abbia un reale univoco potere rappresentativo. Circa 20 milioni di Italiani si rivolgono a tecnici professionisti per svolgere attività fisica che, ricordiamolo, ha funzione sociale non solo ludica (e qui mi pesa la definizione del DPCM “Non è consentito svolgere attività ludica o ricreativa…”), ma largamente riconosciuta come salutistica rivolta al rinforzo del sistema immunitario, controllo della funzionalità organica, prevenzione e supporto nelle malattie metaboliche.

Ma, tornando al punto, questa grande forza non riesce ad essere unita nel perorare tutte le rivendicazioni legate a questo settore. Ovvio che c’è una differenza fra imprenditori/gestori di strutture sportive e istruttori e tecnici (anche se nelle strutture più piccole queste 2 figure si sovrappongono). Manca una sorta di “sindacato” che possa rappresentare le esigenze di questo esercito di operatori. Certo ci sono tante sigle ed organizzazioni che cercano di occuparsi di questo, ma nessuna è largamente rappresentativa della maggioranza: questo sia dentro che fuori dell’egidia CONI. è dunque impossibile provare a creare un ente che raggruppi tutte queste realtà? Non so, forse è utopia, ma a FIF piacerebbe; un organo all’interno del quale trovano voce tutte le varie anime, con rappresentati che possano dialogare con le istituzioni cercando di portare le vere esigenze sia delle strutture che degli operatori. Siamo una forza ma non riusciamo ad esprimerla!

Al momento di proporre un protocollo per le riaperture FIF è stata ben felice di collaborare con ISSA per individuare quali potevano essere le regole da suggerire al ministero. Ecco, questo è un primo esempio ma si può fare certamente di più e la situazione che abbiamo vissuto deve essere uno stimolo a riflettere su quanto necessiti essere rappresentati. Unitamente a questo occorre valutare come interpretare e attuare tutti gli stimoli che vengono da questa seconda fase e da quella che seguirà. Anche qui potrebbe essere retorico dire che occorre fare di ogni difficoltà una opportunità, ma occorre fare i conti con la realtà economica con le esigenze lavorative e di adeguamento strutturale. Stimolante leggere di qualcuno che vorrebbe trasformare i centri fitness in una sorta di luogo sanitario ma occorre fare attenzione; le regole che si andranno a prospettare tenderanno a rimanere ed il rischio è quello di entrare in un loop di regole e norme che renderà sempre più difficile e complessa non solo l’apertura di nuovi centri ma anche la “semplice” ri-apertura di quelli già esistenti.

Precisiamo che nessuno vuole sottovalutare la necessità di creare norme di attenzione, ma quste devono essere logiche, efficaci, fattibili, senza gravare ulteriormente su situazioni che hanno già sofferto notevolmente. Se esisteva già prima una idoneità sanitaria occorre cercare di non richiedere modifiche strutturali che impegnino nuovi capitali e rinnovati costi. Credo che con buon senso e conoscenza della indicazione base sia possibile farlo. Probabile che in un primo tempo ci saranno molti utenti che preferiranno non tornare nelle palestre, in tanti si sono organizzati a casa, ma sappiamo tutti molto bene che allenarsi a casa non è la stessa cosa di farlo in una GYM strutturata e motivante. Certo che si può cogliere l’occasione di tutti gli incentivi che verranno per rinnovare i centri, per renderli più moderni ed efficaci, ma sono molto preoccupato se tutto ciò tenderà a disumanizzare (perdonatemi il termine “crudo”) quella che invece dovrebbe essere attività di gioia ed entusiasmo, di emozione. Abbiamo capito che l’elettronica e l’informatica potranno esserci di aiuto, ma scusate il mio pensiero troglodita, non credo sia tutta lì la soluzione, soprattutto quando l’informatica diventa invasiva e in tutti i modi si vuole sostituire all’uomo. Non posso sapere per quanto il distanziamento sociale limiterà alcune azioni all’interno dei nostri centri, ma spero che questo si ridimensioni nel più breve tempo possibile. Forse non è vero che ”andrà tutto bene“, tutto cambierà ma con una evoluzione che dovrà semplicemente insegnarci a ben utilizzare la tradizione nel rispetto di norme che si devono basare sulla prevenzione.

Ma ricordiamoci e facciamo ricordare che la prevenzione nasce da noi stessi, dal nostro corpo, dallo stile di vita, dall’alimentazione, dal movimento, dalla gestione dello stress e, permettetemi, in tutto questo i nostri tecnici sono maestri insostituibili e sono ancora convinto che un PT on line possa essere di aiuto, ma non ditemi che si crea la medesima empatia e magia che si ha con un training in presenza. Ho avuto modo di fare 6 ore di lezione on line e, sarà l’età, ma sono arrivato alla fine stremato e con un senso di svuotamento; questo al contrario di ciò che avviene normalmente dove ad ogni corso traggo energia che è direttamente proporzionale a quella che riesco a spendere versi i discenti.

Certo che per tante ragioni il futuro sarà per lo sviluppo della formazione on line, ma personalmente vedo una integrazine delle 2 forme dove, a tempo debito, un confronto diretto serva a tutti per crescere e migliorare. Sarà un percorso da fare insieme (anche studiando una forma di rappresentaza nazionale), costruire un nuovo sistema sì, ma che sia vivibile e realistico!

Nessuno può tornare indietro e ricominciare esattamente come prima, ma tutti possiamo andare avanti e decidere un futuro diverso, rispettoso del passato e dei reali bisogni dell’uomo.

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