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Protesi d'anca e pratica dell'attività sportiva

Scritto da prof. Massimiliano Noseda*

QUALI ACCORGIMENTI AVERE E QUALI DISCIPLINE CONSIGLIARE NELLA RIEDUCAZIONE FUNZIONALE ALL’ATTIVITÀ SPORTIVA POST INTERVENTO

Con circa 110.000 interventi annui, la protesizzazione d’anca risulta essere una delle operazioni ortopediche più diffuse nel nostro paese ed in assoluto la più frequente nell’ambito della chirurgia protesica (56,3%), seguita dal ginocchio (38,6%), dalla spalla (3,9%), dalla caviglia (0,3%) e dalle altre articolazioni (0,9%). Costituisce una valida cura non solo per alcune fratture di femore ma anche per la coxartrosi avanzata, ovvero per quello stadio evolutivo della patologia cronica degenerativa articolare in cui non solo i comuni trattamenti riabilitativi e farmacologici non sono più efficaci, ma in cui anche la qualità della vita risulta pesantemente compromessa con importanti limitazioni in ambito lavorativo, ludico e sportivo. L’incremento annuale continuo del 2 % dei casi trattati e la costante diminuzione delle possibili complicanze registrate costituiscono una garanzia di qualità di questa possibilità di trattamento che oggi si avvale non solo di nuovi materiali, ma anche di innovative tecniche mininvasive in grado di ridurre significativamente alcune complicanze postchirurgiche come l’anemizzazione, la lussazione o il dolore, e di contenere notevolmente i tempi di recupero. Ad esempio, la maggior parte dei pazienti viene rimessa in piedi il giorno stesso dell’intervento, o al massimo il successivo, mentre la ripresa di alcune attività come la guida è quasi sempre possibile dopo circa 2 o 3 settimane. Sono, quindi, ricordi lontani quelli in cui il paziente rimaneva allettato molti giorni in fase postoperatoria con un rischio aumentato di eventi avversi come flebiti, piaghe da decubito e perdita significativa della massa muscolare dato che attualmente la degenza media varia tra i 4 e i 7 giorni e che la restante parte del percorso riabilitativo è spesso attuabile anche ambulatorialmente se non esistono patologie associate che richiedono particolare assistenza. Sono anche di pari passo aumentate le aspettative del soggetto protesizzato che, al giorno d’oggi, da una parte ricorre sempre più precocemente a questa pratica chirurgica e dall’altra non si accontenta più, come nei primi anni settanta, solo di recuperare il cammino e risolvere il quadro algico chiedendo sempre più spesso di reinserirsi nel tessuto sociale senza limitazioni e di riprendere l’attività sportiva praticata in precedenza. Tuttavia, è opportuno sottolineare che se da una parte è vero che un’attività sportiva costante consolida i risultati del percorso riabilitativo, ottimizzando la performance motoria e conservandola nel tempo, dall’altra è altrettanto intuitivo comprendere come alcuni sport possano aumentare il rischio di mobilizzazione precoce e lussazione della protesi oltre a quello di frattura periprotesica, e quindi costituire un possibile rischio per la salute soggetto in grado di danneggiare, anche irreversibilmente, l’impianto stesso o l’osso circostante. è, quindi, bene consultarsi sempre con l’equipe ortopedica e riabilitativa prima di iniziare o riprendere un’attività sportiva. Questa di norma è prevista dopo 3 o 4 mesi dall’intervento, ma la tipologia e l’intensità sono da valutarsi anche sulla base di alcuni elementi soggettivi come l’esperienza sportiva passata del paziente, il livello di allenamento, le condizioni fisiche generali e l’eventuale presenza e gravità di alcune patologie associate di tipo oculistico, cardiologico o ortopedico in altri distretti anatomici.

In linea di massima sono consentite tutte quelle discipline che non sollecitano vigorosamente le strutture protesiche ed in particolare sono consigliate quelle che contribuiscono a mantenere un buon tono e trofismo muscolare a livello del cingolo e degli arti inferiori.

È quindi il caso del golf, del bowling e degli sport di tiro, ma anche del nuoto, della bicicletta, del trekking, del ballo da sala, del canottaggio e della vela. Al contrario restano sconsigliate tutte quelle attività che possono prevedere frequenti possibilità di caduta, rovinosi impatti con altri giocatori, salti energici o sovraccarichi importanti. È questo il caso della ginnastica artistica, del calcio, del basket, della pallavolo, del climbing e del baseball. Alcuni sport necessitano invece di considerazioni particolari e sono di norma consentiti solo se il soggetto li praticava già in epoca pre intervento potendo così giovare di una buona tecnica e di un particolare condizionamento muscolare sport-specifico. Per esempio il tennis è consentito in doppio, anziché in singolo, in atleti esperti preferendo, comunque, il palleggio alla partita e la terra battuta al terreno sintetico.

Anche lo sci di fondo è preferibile alla discesa che resta invece proponibile solamente allo sciatore di livello privilegiando, tuttavia, pendenze non impegnative, avendo cura di eseguire curve larghe ed evitando piste affollate o ghiacciate. Un giudizio non condiviso degli esperti riguarda invece alcune discipline come ad esempio la pesistica o gli sport su pattini. La prima potrebbe essere considerata, secondo alcuni, riducendo significativamente i carichi, soprattutto per gli arti inferiori, e privilegiando, quando possibile, varianti d’esercizio da seduti o da sdraiati al fine di favorire lo scarico articolare. Pattinaggio su ghiaccio o su rotelle sarebbero invece sconsigliati, sebbene tonifichino selettivamente la muscolatura glutea con indiscusso beneficio sulle strutture periprotesiche, in quanto si associano ad un ovvio rischio aumentato di caduta e, quindi, di frattura ossea, lussazione o mobilizzazione precoce dell’impianto.

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* Medico, specialista in medicina fisica e riabilitazione, specialista in igiene e medicina preventiva, docente universitario

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