Il metodo WTA negli sport da combattimento
Scritto da Davide CarliLA PROGRESSIONE DELLO STIMOLO È L’ELEMENTO FONDAMENTALE PER IL MIGLIORAMENTO DELLA PERFORMANCE E DOVREBBE ESSERE CALIBRATA SECONDO UNA CORRETTA QUANTITÀ, QUALITÀ, INTENSITÀ, DENSITÀ E FREQUENZA.
Con il passare del tempo si è notato come la preparazione atletica negli sport da combattimento, per centrare al meglio l’obbiettivo prestazionale richiesto, debba essere sempre più calibrata al gesto tecnico specifico della disciplina praticata. Analizzando il concetto di funzionalità, infatti, non si può far a meno di notare come il condizionamento del movimento assuma un’importanza più rilevante rispetto a quello analitico. I principali vantaggi che si ottengono condizionando direttamente il gesto atletico sono: privilegiare la coordinazione; non disperdere le energie per potenziare gesti tecnici non richiesti dalla disciplina; ridurre il tempo necessario a potenziare tutta la muscolatura del movimento richiesto per dedicare quindi più tempo al recupero; incrementare le capacità propriocettive, l’abilità, la precisione e il controllo della tecnica; condizionare al meglio la resistenza, la forza e la velocità affinché vengano calibrate direttamente sul movimento e non separatamente sui singoli muscoli. In definitiva, la performance di un gesto atletico è garantita dal contemporaneo sincronismo di tutti i sistemi e apparati che rappresentano l’organismo, i quali simultaneamente devono necessariamente collaborare come un’unica entità funzionale per ottenere la massima prestazione. Questo perché l’organismo umano non funziona come un sistema assemblato dove ogni parte corporea opera in modo indipendente, bensì come un sistema integrato, in cui tutti i settori anatomici collaborano tra loro influenzandosi reciprocamente. Inoltre, gestire e periodizzare – all’interno di una preparazione atletica – l’allenamento separato di ogni singolo gruppo muscolare che partecipa al gesto sportivo, richiederebbe molto più tempo a disposizione, incrementando così il carico di lavoro e lo stress dell’atleta. Di conseguenza il rischio è quello di non riuscire a rispettare le tempistiche necessarie alla legge della super-compensazione (durante la fase di recupero avvengono i necessari adattamenti organici utili all’incremento prestativo), rischiando così anche di andare incontro alla pericolosa sindrome del superallenamento. Pertanto, è assurdo pensare di potenziare separatamente i vari gruppi muscolari per aumentare la performance del movimento. Così, dalla maggior esigenza di ricercare prestazioni sempre più specifiche e mirate, nasce il concetto di “functional training”. L’idea di questo particolare training non è più quella di allenare i vari gruppi muscolari che partecipano al gesto atletico in più tempi. Al contrario si compatta il lavoro in una sola fase che prevede l’allenamento dei movimenti simili o uguali a quelli della disciplina sportiva.
L’allenamento funzionale è una forma di ‘metodo sintetico’ in cui si riesce a centrare al meglio l’obiettivo performante, ottimizzando anche il recupero. Al contrario con il ‘metodo analitico’ si incrementano le capacità condizionali in modo separato e settoriale, quindi senza avere la sicurezza che poi gli incrementi possano essere trasportati direttamente nel gesto atletico, se non in modo parziale. Per fare un esempio, non è detto che il consueto lavoro di potenziamento svolto sugli attrezzi isotonici riesca poi a essere convogliato, se non in modo parziale, nella specifica tecnica sportiva. Oppure l’incremento prestativo (resistenza, velocità, potenza, reattività, etc.) che si ottiene con la corsa, non corrisponde a un miglioramento di pari passo delle azioni agonistiche che si verificano negli sport da combattimento. D’altra parte gli esercizi del functional training per essere efficaci necessitano di un maggior impegno e attenzione, perché se non vengono appresi in modo corretto e preciso, potrebbero creare anche dei danni. L’intensità e la difficoltà del programma dovrà aumentare in modo proporzionale all’incremento delle capacità acquisite. Così facendo si ridurrà al minimo, da parte dell’atleta, la possibilità di instaurare compensi nel tentativo di eseguire un esercizio funzionale quando ancora non si è appresa la tecnica correttamente.
La progressione dello stimolo diventa quindi l’elemento fondamentale per il miglioramento della performance e dovrebbe essere calibrata secondo una corretta:
✔ quantità (volume di lavoro)
✔ qualità (specificità dello stimolo)
✔ intensità (percentuale di carico allenante in relazione al massimale)
✔ densità (quantità di stimoli per unità di tempo)
✔ frequenza (programmazione temporale delle sedute di allenamento)
La diversità degli esercizi funzionali, inoltre, rende il programma divertente, caratteristica fondamentale per trovare la giusta motivazione durante le ‘pesanti’ sedute allenanti. L’allenamento funzionale mostra una certa valenza anche nella prevenzione degli infortuni e nella riabilitazione post-fisioterapica. Al riguardo, è necessario coordinarsi con il medico e il fisioterapista per la scelta degli esercizi. Infatti condizionando un movimento simile a quello atletico, si riduce il gap esistente tra la fine della riabilitazione e l’inizio della competizione, di conseguenza anche il rischio di recidive diventa minore. Il training funzionale può ricoprire una sola parte della preparazione atletica o occuparne la totalità. L’unica attenzione in merito riguarda proprio l’ultima fase di preparazione che precede il combattimento, perché l’alta specificità che si raggiunge in questo periodo, molte volte non consente di rispettare il principio della multilateralità (in questa fase si tende a prediligere il condizionamento del movimento direttamente nella guardia che ha il combattente, quindi anche in modo diverso tra dx e sx). La continua ripetizione di movimenti unilaterali, potrebbe instaurare degli squilibri. Una buona regola è quella di prevedere una variabilità di esercizi compensativi e posturali da eseguire nei periodi lontani dal match. Il lavoro analitico diventa utile se utilizzato al di fuori del periodo che identifica la fase agonistica per cercare di condizionare in modo specifico il muscolo o gruppo muscolare che presenta delle carenze importanti. Quindi tutte le attività generali inizialmente sono utili a raggiungere un buon condizionamento di base, dopodiché il lavoro dovrà essere sempre più specifico, veicolando così tutto il proprio potenziale direttamente nel gesto atletico caratteristico della disciplina.
Naturalmente nel primo periodo si dovrà cercare di apprendere la tecnica d’esecuzione in modo perfetto ripetendo molte volte il movimento in modo controllato. Quindi, nella prima fase del programma di allenamento, si tenderà a condizionare la forza resistente con serie da 15 ripetizioni cadauna e recuperi bassi. Una volta acquisita la totale padronanza del movimento, visto e considerato che la caratteristica peculiare degli sport da combattimento è l’esplosività, l’esercizio dovrà essere svolto per poche ripetizioni (6-8 rip) e alla massima velocità possibile.
Ecco una proposta di scheda generale di functional training utile a tutti gli sport da combattimento, la quale non dovrà essere considerata come una ‘ricetta miracolosa’ ma come un modello da adattare caso per caso.
Ripetere per tre volte ogni giant sets descritto di seguito, con una pausa di circa un minuto tra un esercizio e l’altro. Fare un recupero finale di circa 3 minuti.
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