LA RIPRESA DEI RITMI ALIMENTARI
CON L’ARRIVO DELL’AUTUNNO RITORNANO I NUOVI PROPOSITI E LA NECESSITÀ DI ATTUARE UN VERO PIANO ALIMENTARE DI “RIENTRO”
Con l'estate è normale che i ritmi cambino, con le vacanze poi è facile che ci si rilassi un poco anche rispetto alle routine alimentari. Qualche aperitivo in più, maggiori uscite con amici ed amiche, con pasti non sempre esemplari, ed ecco che spesso ci si ritrova, anche se non proprio fuori forma, certamente con la necessità di riacquisire le abitudini. Questo accade anche su chi ha mantenuto varie attività fisiche anche durante l'estate ma certamente “fa più danni” su chi ha notevolmente rallentato per 1 o 2 mesi. La prima cosa da fare è certamente riprendere con l'attività fisica. è poi cosa molto utile fare un'analisi antropometrica; questa abitudine che sarebbe bene mantenere come periodica, è certamente un modo concreto e pragmatico per rendersi conto da dove ripartiamo e dell'entità degli eventuali danni ( non sempre il semplice peso dice la verità).
Una volta consapevolizzato l'obiettivo è utile stilare un vero piano alimentare di “rientro”, non solo farselo in testa ma scriverlo, è questo un modo per ricominciare a “fare” in sintonia teorica e pratica. A meno che non abbracciate una filosofia tipo Digiuno Intermittente (che può essere una valida strategia con il vantaggio di potere essere svolto anche non tutti i giorni della settimana), è opportuno iniziare a pensare alla colazione. Ora vanno per la maggiore i puncake proteici, comprati già pronti e liofilizzati oppure facendoli con farina di avena e uovo. Certo che non tutti al mattino hanno voglia di farli ma considerate che si potrebbe prepararli e cuocerli alla domenica e tenerli già precotti in frigorifero dove si conservano senza problemi per 4/5 giorni. Abbiamo poi la classica scelta salata con Toast (valutare se usare una sottiletta light) oppure uovo + pane normale o tostato. Ci sono anche soluzioni dolci con utilizzo della miriade di biscotti “fit” che si possono trovare sia nei supermercati che nei negozi specializzati. Spuntini, sia di metà mattina che di metà pomeriggio sono da contemplare secondo le caratteristiche del singolo, questo significa che non devono essere per forza un obbligo ma occorre provare. Ci sono persone che sia facendo o meno lo spuntino arrivano a pranzo e/o cena con la stessa fame, questo significa che in molti casi lo spuntino è “una forzatura”; viceversa, se facendolo ci si accorge che il controllo sia dell'energia che della fame è migliore, è fortemente consigliato mantenere questa abitudine (rimane la regola di non forzare mai il corpo e che ci potrebbero essere giorni diversi da altri).
Cosa mangiare negli spuntini? Si va da parmigiano o frutta secca + frutta a combinazioni di yogurt + frutta fino a piccolo panino con affettati light (una nota sugli affettati che sono comodi ma nel computo totale della settimana cerchiamo di fare in modo che non siano presenti più di 2 o 3 volte). A pranzo le soluzioni sono strettamente legate ai ritmi e possibilità concesse dal lavoro. Si va da chi torna a casa è può gestirsi con relativa calma e scelta a chi è legato ad una mensa oppure ad un pasto veloce portato da casa o consumato al bar o alla tavola calda. Indipendentemente dalla “location” è importante capire se abbiamo bisogno di carboidrati tutti i giorni o limitarne l'uso a 3 o 4 volte a settimana. In caso di bisogno di riduzione si potrebbe pensare di usare i carbo 2 volte a pranzo e 2 volte a cena, questo sempre associato ad una fonte proteica ed a verdura il più abbondante possibile. Questa soluzione è solitamente fattibile anche in mensa optando per un primo in bianco + un secondo non troppo elaborato (carne o pesce o affettati + verdura).
Negli altri pasti organizzarsi con un secondo sempre unito da verdura abbondante che deve rimanere una delle abitudini più importanti da mantenere. Ci potrebbero anche stare occasionali pranzi fatti con 2 barrette proteiche o 1 barretta e 1 frutto, oppure con shaker di proteine + 1 frutto, oppure 1 panino con tonno o affettati, ma non suggerirei queste soluzioni in modo sistematico, meglio organizzarsi per avere più scelte dove ci si siede e si può consumare un pasto che dia un vero senso di stacco e dove la presenza di verdura sia concreta. Comunque anche in presenza di “pasti di emergenza” è sempre buona norma portarsi dietro verdura di facile asporto come carote, finocchi, cetrioli. Gestire i quantitativi del secondo evitando di cadere nel luogo comune che “tanto le proteine non ingrassano”; meglio usare qualche carboidrato in più (crackers, fette di segale, ecc.) ma avere sempre un'idea di massima del quantitativo totale giornaliero assunto. Anche uno spuntino post cena ci può stare tipo crackers o frutta secca. Personalmente (anche in base alla situazione legata antropometrica) sono favorevole a qualche concessione a settimana (so che i puristi dell’alimentazione possono inorridire) ma credo che lo sgarro ci possa stare se previsto, purché non ci siano state troppe concessioni durante la settimana. Ovvio che 1 o 2 pasti dove si mangia come non ci fosse un domani vanificano qualsiasi sforzo fatto durante la settimana. Poi ci sono i classici “consigli della nonna” che riguardano il limitare al massimo gi alcolici e stare lontano dai cibi spazzatura che solitamente abbondano negli aperitivi, ovvio che i momenti di socializzazione ci possono essere ma ci si può limitare o selezionare accuratamente quello che si mangia. Ultimamente ci sono tante proposte light di barrette, creme proteiche, biscotti ecce cc. Sono scelte che possono andare, ma dal mio punto di vista non dovrebbero diventare la regola; per quanto “scomodo” darei la massima priorità ai cibi “veri” che evitano tutta una serie di conservanti, edulcoranti ecc. Ripeto che non sono un talebano ma ritengo ci debba e ci possa essere una ponderatezza nell'utilizzare con razionalità e consapevolezza tutte le proposte che il mercato dei prodotti FIT confezionati propone. Certamente chi ha più esperienza queste cose le conosce bene ed inoltre conosce bene i propri bisogni e le reazioni del suo corpo. Più difficile per i meno “veterani” e che magari traggono info soprattutto dai social, abitudine divertente, magari con una sua utilità a patto di sapere selezionare le fonti. Soprattutto all'inizio l'idea di affidarsi ad un nutrizionista è certamente la soluzione migliore per iniziare a capire come muoversi ed avere un'idea di quantitativi. Le reazioni del corpo ci guideranno poi nel capire quale le soluzioni più adatte ed efficaci.
Riprendere la forma e la sane abitudini potrà essere difficile all'inizio ma poi ricomincerà ad essere una piacevole abitudine che spesso contagia positivamente anche chi ci circonda incuriosendo verso un modo diverso di organizzare la propria giornata.
Sirtuine e dieta sirt
IL RUOLO DELLE “PROTEINE ANTI-AGING E GLI EFFETTI ANTIOSSIDANTI E DISINTOSSICANTI DEI “CIBI SIRT”
Già da qualche tempo (2015 circa) si parla dei benefici delle Sirtuine, una famiglia di “proteine anti-aging” che regolano il metabolismo energetico, l’apoptosi cellulare, la riparazione del DNA, la rigenerazione tissutale e modulano positivamente l’infiammazione. Con la loro attivazione si ottiene quindi longevità, calo di massa grassa, prevenzione malattie metaboliche.
Se ne conoscono 7 e ciascuna ha delle prerogative specifiche.
• La SIRT 1 è localizzata nel nucleo e ripara danni al DNA, regola gluconeogenesi, lipolisi e resistenza allo stress ossidativo. Controlla la secrezione dell’insulina e l’omeostasi del colesterolo.
• La SIRT 2 è localizzata nel Citoplasma ma ritrovabile anche nel nucleo. Regola il ciclo cellulare e la promozione della lipolisi negli adipociti. Controlla la neurodegenerazione.
• La SIRT 3 si trova nei mitocondri e svolge un ruolo di controllo sugli enzimi legati alla regolazione dell’attività mitocondriale. Regola l’apoptosi e svolge un ruolo di difesa nei confronti dello stress ossidativo.
• La SIRT 4 si trova nei Mitocondri ed ha un ruolo centrale nella secrezione dell’insulina e di tutto il metabolismo del glucosio. Modera il catabolismo muscolare.
• La SIRT 5 si trova nei mitocondri e controlla il ciclo dell’urea ed il metabolismo dei grassi e aminoacidi.
• La SIRT 6 si trova nel nucleo e concede stabilità genomica con funzioni riparatrici del DNA. Regola il metabolismo di glucosio e lipidi e svolge un ruolo antinfiammatorio.
• La SIRT 7 si trova nel nucleo regola l’attività dei Ribosomi (fondamentali per “leggere” le informazioni contenute nella catena di RNA messaggero). Svolge un ruolo antitumorale.
Leggendo quanto detto se ne capisce l’importanza e ancora più interessante il fatto che le Sirtuine possano essere stimolate dall’alimentazione, questo in quanto ci sono cibi che ne attivano l’efficacia, ma va detto che non è così facile anche perché tutti i meccanismi di azione delle Sirtuine non sono così chiari. Certamente si è visto come un corretto stile di vita (ritmi sonno-veglia) e l’attività fisica costante e continuativa siano presupposti per la loro attivazione ma, udite udite, anche la restrizione calorica svolge un ruolo centrale. Alla luce di queste considerazioni da alcuni anni si parla di DIETA SIRT della quale è certamente utile conoscerne i presupposti. L’alimentazione proposta al momento non ha particolari studi a supporto ma è stata ideata da 2 nutrizionisti Inglesi Aidan Goggins e Glen Matten che hanno scritto il libro “Sirt - La Dieta del Gene Magro”.
Nella PRIMA FASE si tratta di fare una detox con forte restrizione calorica. Durata 1 settimana.
- Nei primi 3 o 4 giorni occorre ridurre drasticamente le calorie (spesso meno di 1000) consumando 3 pasti al giorno a base di ESTRATTO O SUCCO VERDE + un pasto solido. Questo ESTRATTO VERDE consiste in un centrifugato con 75/100 g di cavolo riccio, 30/40 grammi di rucola e 5/10 grammi di prezzemolo. Si aggiungono 150/200 grammi di sedano verde con le foglie e mezza mela verde. Alla fine si aggiunge la spremuta di mezzo limone spremuto e ½ - 1 cucchiaino di tè matcha
- Nei restanti giorni per concludere la prima settimana si riducano a 2 i pasti con l’ESTRATTO VERDE e si fanno 2 pasti solidi. I pasti solidi suggeriti sono essenzialmente a base di verdura e proteine magre a bassi grassi ,quindi carni bianche, pesci magri; ammesso il tofu e legumi come le lenticchie e fagioli.
Nella SECONDA FASE della dieta SIRT, che dura almeno 3 settimane non ci sono particolari limitazioni di peso negli alimenti ma solo una selezione della tipologia, fra questi cavolo riccio, vino rosso, fragole, cipolle, soia, prezzemolo, olio extravergine d’oliva, cioccolato fondente (minimo 85% di cacao), tè verde matcha, grano saraceno, curcuma, noci, rucola, peperoncino, levistico (una pianta aromatica), datteri , radicchio rosso, mirtilli, capperi, caffè. Questi alimenti vanno abbinati a 1 o 2 pasti al giorno a base di proteine magre come il pesce, la soia, le carni bianche, le uova. A questo punto l’alimentazione può essere modulata anche ripetendo per qualche giorno la fase detox o inserendo 1 pasto al giorno con l’ESTRATTO O SUCCO VERDE. Le considerazioni da fare sono diverse dove certamente il primo concreto dimagrimento si ha nella prima parte (3/3,5 kg) dove è lecito pensare che il brusco cambio di alimentazione e calo di calorie porti ad una grossa perdita di acqua e glicogeno. Poi nelle altri suoi punti rimane una dieta “modaiola” non così facile da fare ma che pone l’attenzione sui Polifenoli e sulla Quercitina, molecole che vengono sempre più valutate per la salute e l’efficienza fisica. Al momento mancano studi scientifici sull’efficacia di questa tipologia di scelta alimentare e non ci sono prove che l’uso costante di questi alimenti denominati SIRT FOOD portino realmente ad aumenti delle Sirtuine con effetti misurabili. Quindi il ruolo delle Sirtuine nella salute umana è stato ipotizzato ma ancora non chiarito e, soprattutto, esistono farmaci che attivano le Sirtuine ma ancora non si sa quanto effettivamente lo possano fare gli alimenti. Tutto sommato, visto il breve periodo di prova che questa scelta propone i rischi non sono particolarmente alti, ma per ottenere dei risultati certi sia sull’invecchiamento che sul dimagrimento le chiavi certe rimangono l’attività fisica, il non abuso di quantitativi di cibo e la scelta di cibi freschi con grande varietà di molecole antiossidanti e disintossicanti. I “cibi Sirt” rientrano fra le categorie positive ma certamente possono essere analizzati in diverse modalità di approcci alimentari.
Una chetogenica per la massa?
ECCO I RISULTATI DI UNO STUDIO SCIENTIFICO SULL’IMPATTO DELLA KETO SU BODY BUILDER IN FASE DI MASSA
Titolo volutamente provocatorio, magari in un momento dove in tanti stanno già programmando dopo le feste di fare “un giro” di chetogenica per iniziare un programma di “remise en forme” dopo gli stravizi Natalizi. Eppure un gruppo di studio legato all’università di Padova, di cui sono onorato di aver fatto parte ha provato a verificare l’impatto di 2 mesi di dieta chetogenica su Body Builder esperti durante la fase di massa.
La KETO è ben conosciuta e codificata; in sintesi la KD costringe il corpo a ricorrere ad altre vie per ricavare energia soprattutto per il sistema nervoso centrale (SNC). Il corpo, dopo diversi giorni con un regime di alimentazione con contenuto di carboidrati molto ridotto, va ad esaurire le riserve di glicogeno/glucosio e la quantità di glucosio disponibile che diventa insufficiente per consentire sia la normale ossidazione dei grassi attraverso la fornitura di ossalacetatato nel ciclo di Krebs che il rifornimento di glucosio al SNC.
La nuova energia a cui ricorre il corpo viene fornita dai corpi chetonici (KB) acetoacetato (AcAc), 3-idrossibutirrato (3HB) e acetone. Diverse sono le potenzialità terapeutiche della KD che è stata ed è usata anche per contrastare l’epilessia:
1) miglioramento del quadro metabolico nelle PCOS (ovaio policistico)
2) possibili utilità anche nella sclerosi laterale amiotrofica, nel morbo di Alzheimer, nel morbo di Parkinson e in alcune mitocondriopatie
3) possibilità di questo regime a supporto di alcune problematiche oncologiche
4) possibile efficacia come fonte energetica negli sport di endurance
Ma oltre a queste eccellenti potenzialità mediche la KD è conosciuta nel mondo sportivo come strumento utile per promuovere la perdita di peso / massa grassa attraverso 4 meccanismi basilari:
A) riduzione dell’appetito grazie agli effetti di sazietà proteica, effetti sugli ormoni correlati all’appetito come la grelina e possibilmente una sorta di effetto diretto di blocco dell’appetito dato dai KB
B) ridotta lipogenesi e aumento dell’ossidazione dei grassi
C) una riduzione del quoziente respiratorio può indicare una maggiore efficienza metabolica nell’ossidazione dei grassi
D) un effetto termico delle proteine e un maggiore consumo di energia da parte della gluconeogenesi.
Con questo studio è stata la prima volta che si è provato ad usare la KD su atleti BB in fase di massa. 19 i soggetti divisi in 2 gruppi (KD e WD). Il prospetto dei soggetti era il seguente:
Il progetto prevedeva analisi ematiche antropometriche e test fisici prima dello studio e poi verificati alla fine delle 8 settimane.
Le alimentazioni erano isocaloriche, tendenzialmente ipercaloriche rispetto al fabbisogno dei singoli. Anche il contenuto proteico era identico (2,5 g/Kg/die). La differenza è che il contenuto di CHO nel gruppo KD era massimo del 5% mentre nel gruppo WD era sul 55%, L’allenamento pur non essendo stato standardizzato era molto simile con 3 sedute a settimana, esercizi base, ripetizioni 6/10 e buone pause. I dati emersi sono stati una conferma sotto molti aspetti e una sorpresa per altri.
La massa magra è scesa solo nel gruppo di KD, mentre la massa muscolare è cresciuta in modo più significativo con l’alimentazione WD, ma attenzione, con la KD non solo non hanno perso MM ma c’è stato anche un piccolo aumento medio. Anche l’analisi del QR conferma la capacità della KD di fare abbassarne il suo valore indicando uno shift verso il metabolismo lipidico. Entrambi i gruppi hanno migliorato l’espressione di forza sia nel test alla panca piana che nello squat (anche se il gruppo WD ha avuto incrementi maggiori). Anche il profilo dei lipidi nel sangue ha confermato la capacità della KD di diminuire il colesterolo totale ed elevare l’HDL. Analogamente i TG solo calati solo nel gruppo KD. Come già dimostrati la KD ha indotto un forte calo della produzione insulinica ma contemporaneamente, pur abbassando la glicemia, non l’ha mai portata a livelli bassi; questo conferma che nella KD su soggetti non induce ipoglicemia. In questo studio il TST è calato così come l’IGF 1, ma in altri studi i livelli di TST non sono calati; inoltre secondo Rhonda: “La carenza di IGF1 è coerente con un aumento del GH, dove il GH antagonizza le azioni dell’insulina e migliora l’ossidazione dei lipidi”. Ultimi 2 dati che confermano come la KD ben interpretata possa sorprendere; il primo attesta che i markers infiammatori sono calati solo nella KD (IL6 e TNFalfa). Il secondo dato corrisponde all’aumento del BDNF, molecola della famiglia delle neurotrofine che intervengono nel trofismo e nella plasticità neuronale.
Le variazioni in negativo di questa proteina sono associabili a situazioni di stress, depressione, disturbi dell’umore, aspetti cognitivi e altre problematiche psicologiche. L’aumento di BDNF nel gruppo KD sembra confermare i dati ricavati da altre basi teoriche sull’effetto positivo della dieta chetogenica su alcuni aspetti dell’umore (esatto opposto di chi si sottopone a diete ipocaloriche).
Certamente la KD non è adatta a tutti, ma ormai è certamente stata “assolta” dai suoi deleteri effetti per la salute; il problema è nel bene interpretarla e, nelle sue interpretazioni, un’attenzione va fatta anche all’uso di molti preparati low carb presenti sul mercato; ad esempio una vera pasta per KD non dovrebbe superare i 4 g di carbo x 100 g mentre in molti prodotti questo valore viene ampiamente superato. Anche la presenza di polioli può deviare perché comunque hanno un loro impatto anche se diminuito del 50% sul conteggio dei CHO stessi.
Lo studio con tutti i grafici lo trovate sui portali specializzati “EFFETTI DI 2 MESI DI DIETA CHETOGENICA SU COMPOSIZIONE CORPOREA, FORZA MUSCOLARE E PARAMETRI EMATOCHIMICI IN ATLETI AGONISTI DI NATURAL BODY BUILDING” Antonio Paoli, Lorenzo Cenci, PierLuigi Pompei, Nese Sahin, Antonino Bianco, Marco Neri, Massimiliano Caprio, Tatiana Moro. Department of Biomedical Sciences, University of Padua, 35131 Padua, Italy Nutrients 2021, 13(2), 374; https://doi.org/10.3390/nu13020374
Cibo, cortisolo e stress: un trinomio che dobbiamo capire sempre di più
Il cortisolo nel “sentire comune” ha una valenza negativa perché nei convegni da spogliatoio assume il ruolo di perenne cattivo nel depredare dei risultati sperati e nel vanificare la costruzione di massa magra. Come sempre la verità sta nel mezzo ed occorre trovare il giusto equilibrio, infatti è indubbio che il cortisolo ha funzioni estremamente importanti e sarebbe un errore fare in modo di averlo sempre perennemente basso mentre fisiologicamente ha andamenti hi/low legati ai ritmi circadiani e agli stressi psico fisici a cui andiamo incontro. Fra le sue azioni positive troviamo l’aumento dello stato di veglia, la capacità di concentrazione e l’energia. Lo fa facilitando la conversione della noradrenalina in adrenalina e inducendo un aumento della gittata cardiaca. Inoltre il Cortisolo svolge un’importante azione anti infiammatoria. D’altra parte abbiamo anche tutta una serie di altre azioni non sempre “gradite” come:
1) aumenta la glicemia, incrementando la gluconeogenesi epatica (conversione di alanina in glucosio).
2) Accelera l’osteoporosi
3) Favorisce il catabolismo proteico convertendo le proteine in glucosio)
4) Stimola la liposintesi (tranne che nel digiuno dove può diventare lipolitico affiancando il GH)
Tutto questo è logicamente direttamente proporzionale al tempo in cui il cortisolo rimane alto, infatti mentre è fisiologico avere dei picchi acuti che rientrano in tempi brevi, diventa deleterio avere livelli alti in cronico che portano a situazioni metaboliche negative (con ricadute anche sul piano estetico) ma che soprattutto nell’ipercortisolemia cronica presenta una serie di problematiche con iperglicemia e insulino resistenza, diabete di tipo 2, immuno soppressione, patologie muscolo-scheletriche e alterazione dell’umore. Il digiuno è uno stimolatore di cortisolo; infatti nella sua curva giornaliera è più alto al mattino, così pasti eccessivamente proteici possono fare anch’essi alzare i livelli di cortisolo. Tutto questo non deve allarmare tutti i seguaci delle diete proteiche o della metodica IF (Intermetting Fasting o Digiuno Intermittente) perché se da un lato è vero che queste metodiche possono portare ad un aumento dei livelli di cortisolo, è anche vero che la risposta è molto personale ed è legata ad una serie di fattori che può innescare meccanismi endogeni di autocontrollo dei livelli di questo ormone, Il dato di fatto è che diversi studi evidenziano in alcune persone che effettuano l’IF problematiche di fame, ritenzione, sbalzi di umore; tutti sintomi potenzialmente legati anche a sbalzi di cortisolo. E’infatti un dato di fatto che su molte persone l’introduzione di dosi mirate di carboidrati (a basso indice glicemico e con buona presenza di fibre) aiuti a tenere sotto controllo il cortisolo nel suo picco mattutino. Se invece si assumono troppi carboidrati alla colazione, e magari senza un controllo dell’indice glicemico, si corre il rischio di sommare il picco glicemico dato dagli zuccheri a quello naturalmente presente dato dalla neoglicogenesi indotta dal cortisolo alto. Ma i carboidrati non sono importanti solo al mattino (se non si opta per un periodo o delle giornate di IF), ma possono essere molto interessanti anche alla sera, infatti è già stato citato in un precedente articolo lo studio israeliano del 2011 che ha evidenziato modificazioni ormonali positive introducendo la quota maggiore di carboidrati alla sera rispetto al pranzo. L’uso di carboidrati alla sera è a mio avviso molto funzionale soprattutto per chi durante il giorno ha fatto sport e non ha avuto una particolare introduzione di carboidrati con gli altri pasti; in questo modo si favorisce la sintesi di glicogeno epatico con una caduta positiva su ormoni legati sia alla fame che al dimagrimento (leptina, Grelina) ma anche sul cortisolo. Ora capisco che in alcuni lettori si prospetti un poco di confusione perché abbiamo detto che i pasti eccessivamente proteici possono favorire il cortisolo, che i carboidrati ben gestiti lo controllano, che il digiuno lo fa aumentare, tutti punti che molti non adottano proprio per avere la forma migliore. Come sempre il problema è nell’individuare i propri bisogni e capire che le risposte sono molto personali. In linea di massima sono convinto che dare una quota maggiore di carbo nei periodi di maggiore intensità di allenamento sia positivo; non è detto debba essere sempre così ma farlo per un periodo può essere stimolante ed è una prova che suggerisco a molti di fare. Analogamente ho riscontri positivi dall’IF, ma anche questa non è detto debba essere una scelta che va bene per tutti (anzi ci sono molte persone che proprio non riescono a farla accusando fame, nervosismo e mal di testa) e soprattutto può essere fatta solo per un periodo o addirittura essere fatta per qualche giorno a settimana.
Mediamente sono invece molto convinto di carbo al mattino optando per pochi zuccheri semplici ed andare invece su complessi con fibre. Ma anche qui l’invito è di non fossilizzarsi, provare a cambiare; oltre ad esser gradevole e meno noioso è anche stimolante e si possono verificare sul proprio corpo le risposte che alcune scelte inducono. Una di queste è l’uso di uova al mattino (sdoganando la credenza dell’aumento di colesterolo su persone sane e sportive), così come non è assolutamente detto che si debbano usare solo i bianchi essendo il tuorlo un vero tesoro di elementi altamente nutritivi. Ovvio che il tutto va rapportato alle scelte totali che vengono fatte all’interno della filosofia alimentare che si va ad adottare.
Il cortisolo alto, inteso in forma cronica, va valutato dal punto di vista medico e la parte alimentare ha una componente non preponderante, questo per dire che molto spesso i picchi permanenti di questo ormone sono dovuti a sovrallenamento o comunque picchi stressori anche solo psicologici da ansia o da lavoro; è dimostrato come gli studenti sotto esami abbiano picchi di cortisolo paragonabili a quelli degli sportivi; è quindi indubbio che anche la risposta e la capacità di gestione di tale ormone risieda anche in capacità personali legate al recupero e alla gestione dello stress. Diversi studi stanno sottolineando come la maggioranza degli uomini over 40 ha alti livelli di cortisolo e quindi bassi di testosterone, questo in una popolazione di non sportivi è un chiaro indicatore di come lo stress (ed in modo conseguente i recuperi psico/fisici) siano la prima causa da gestire per controllare i rapporti positivi fra i più importanti ormoni.
La dieta dopo la tempesta
LE RESTRIZIONI NEGLI SPOSTAMENTI SONO SEMPRE PIÙ RIGIDE E I PRANZI E LE CENE DIVENTANO “EXTRA LARGE”. ECCO ALCUNE STRATEGIE CHE POSSIAMO ATTUARE COME NOSTRE ALLEATE CONTRO I KG IN PIÙ.
Di che tempesta stiamo parlando? Semplicemente delle feste dove, COVID o no, la tradizione di lasciarsi andare a leccornie varie ed indugiare a ripetizione su pranzi e cene ben oltre alla norma, non solo è stata mantenuta, ma, complice la scarsa possibilità di uscire di casa, è stata addirittura aumentata dalla diffusa trasformazione di tanti in pizzaioli e panettieri. Ora però in molti iniziano a capire che occorre rientrare nei ranghi e, come sempre, la prima cosa da fare e riprendere a fare movimento. Spero che quando leggerete queste righe le palestre siano riaperte e consetano di riprendere una attività organizzata ed efficace, certo, anche a casa si possono fare allenamenti ma sfido chiunque a dimostrarmi che sono ugualmente efficaci (tranne pochi fortunati che possono disporre di un’attrezzatura completa e non raffazzonata). Ma lo scopo di queste righe è capire quali sono le piccole strategie che si possono mettere in atto sotto il versante alimentare.
Ovviamente la soluzione più efficace è rivolgersi ad un professionista, magari potete rimandare la cosa ma l’approccio corretto è questo; anche perché i dosaggi degli alimenti sarebbe opportuno venissero stabiliti senza andare a casaccio. Per questo motivo non ritengo corretto scrivere grammature di alimenti ma parlare semplicemente a più ampio respiro di strategie. Non mi rivolgo ai mega appassionati, quelli che, sono certo, di sgarri ne hanno fatti comunque pochi e gli basta un nulla per rientrare nei ranghi. Proviamo a pensare al restante “grosso” della popolazione. La prima cosa da fare è rivolgere un pensiero agli alcolici; un periodo di stop o grossa riduzione è senza dubbio una prima cosa da fare. So bene che a molti rinciare all’aperitivo è molto triste (astemi esclusi) ma posso assicurare che l’uso di bevande alcoliche da’ un grosso contributo negativo al perdere peso. Veniamo poi al secondo punto (ma non meno importante del primo) che riguarda i vari dolci. In molti casi ci sono “gli avanzi” o i panettoni ancora non aperti. Non è una buona idea rimandare ogni scelta nutrizionale di “recupero” solo dopo allo smaltimento delle scorte. So che dispiace ma le due cose non vanno d’accordo (donateli ad un ectomorfo...). Altro punto da imporsi è darsi alcune regole, non difficili e non serve neppure siano drastiche. Esempio l’uso di carboidrati come pasta o riso si potrebbero contingentare a 3 o 4 pasti a settimana, a voi la scelta se usarli a pranzo o cena ma imponetevi un numero massimo. Ovviamente il condimento non può essere a base di gustosi sofrittini. A mio avviso è utile sfruttare il secondo per inserire una base proteica al primo, un riso al tonno o una pasta con legumi sono ottime idee; in questo modo è possibile aumentare la sazietà rispetto all’uso del solo primo piatto ed avere un impatto glicemico minore. In questa fase , alla ricerca di perdere un poco di peso, potrebbe anche essere utile (sfruttando l’alta motivazione dell’inzio) fare 2 pasti a settimana a base di sola verdura, sia cotta che cruda oppure sottoforma di passati o minestroni. Ce ne sono anche di commerciali surgelati, molto ben fatti e con basso contenuto di amidi (patate e fagioli). La verdura deve comunque essere la presenza irrinunciabile di pranzo e cena, sia essa cruda che cotta, consiglio un quantitativo sostanzioso e magari utilizzata prima del pasto. Analogamente con i secondi si può usare una piccola dose di crakers o di pane ad alto contenuto di fibre. Magari meglio non esagerare con l’aceto mentre non ci sono problemi per l’olio e spezie. Negli altri pasti rimane quindi l’utilizzo di un secondo + verdura, a mio avviso inutile farsi del male pensando sempre e solo alla carne bianca, meglio organizzare una rotazione fra carne, pesce, legumi (magari uniti a tonno o prosciutto), uova. Qui è importante anche avere un poco di fantasia, questo aiuta a rendere i piatti più saporiti e sapere usare spezie e aromi è certamente un grande asso nella manica per rendere meno noioso il tutto. In alcuni casi ho visto alcuni professionisti della nutrizione non disdegnare l’inserimento di 1 o 2 pasti a settimana con barrette o preparati in polvere; in linea di massima la cosa non mi entusiasma, ma questo perché parlando con le persone ho incontrato molte volte soggetti che usavano questa opzione (per comodità) come scelta principale.
A mio avviso è molto più “educativo” imparare a gestire gli alimenti che non i sostitutivi di pasto. Comunque, se la scelta è per 1 o 2 volte a settimana per qualche settimana, la soluzione può rivelarsi efficace. La colazione va gestita in base alla fame che ciascuno ha. Si può usare Thè o latte scremato , caffè secondo abitudini, e poi c’è un’ampia gamma di biscotti ipocalorici o proteici, cosi come si può optare per ottimi puncake con farina di avena e albumi oppure scelte salate tipo toast con prosciutto. So che non piace a tutti ma delle uova (sode, alla coque o strapazzate) sono una delle scelte più efficaci per avere un senso di sazietà per molte ore. Ma gli spuntini? Bhe, a mio modesto avviso non è un dictat insormontabile quello di dovere per forza fare gli spuntini. Esempio è molto probabile che usando delle uova al mattino si arrivi senza alcun problema a pranzo. Comunque un’ esperienza che tutti possono fare è quella di provare; se non facendoli si arriva a pranzo con la stessa fame che facendoli significa che al fine della fame non sono importanti. Se risulta importante farli le scelte possono essere verso della frutta abbinata a frutta secca o dei cubetti di parmigiano. Ultimo punto, il “pasto libero”, io, di base un godurioso, ritengo sia importante per mantenere uno spazio di socialità condivisa, ma capisco non tutti possano essere d’accordo. Concludendo, una scelta come quella prospetatta è abbastanza semplice, non eccessivamente restrittiva e facile da realizzare. Tornare poi ad una alimentazione senza pasti off (con solo verdura) e aumentando le volte in cui si mangiano i carboidrati, è rapido e senza grandi shock metabolici. Ma, ricordate, l’alimentazione è basilare ma l’altra grande leva per tornare in forma rimane sempre e comunque l’attività fisica.
Come diceva un mio maestro: “Sempre meglio consumare di più che mangiare sempre di meno”.
Bevande alcoliche e sport, connubio possibile?
UN BINOMIO SEMPRE DI GRANDE ATTUALITÀ OGGETTO DI TANTE PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE TRA LORO CONTROVERSE
*Farmacista, Biologo Nutrizionista
Spesso si leggono articoli che riguardano cosa si deve mangiare e quando per migliorare il rendimento nello sport, ma spesso basterebbe non mangiare i cibi “sbagliati” e soprattutto nel momento sbagliato. Un argomento, penso, che farebbe piacere leggere anche a chi non è così ligio ad una dieta sportiva ma che ama fare sport in maniera un po’ più “rilassata”. Argomento spesso affrontato nel mondo dello sport, basti pensare allo sdoganamento del binomio attività fisica-bevanda alcolica in un convegno dedicato dal titolo “La Birra nella supplementazione post-gara degli sportivi amatoriali e d’élite” organizzato dal Crea-An (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, cioè l’organismo tecnico scientifico del ministero dell’Agricoltura) che ha portato a riaprire non poche polemiche nel mondo scientifico. (1) Esistono pubblicazioni scientifiche favorevoli all’uso della birra da parte degli sportivi, sostenute fortemente dai giocatori di Rugby col tradizionale “Terzo tempo”. Molti lavori, soprattutto eseguiti presso l’Università di Granada in Spagna, hanno messo in evidenza i benefici effetti dell’assunzione della birra nel post-gara, date dalla componente materie prime del prodotto, in particolar modo cereali e luppolo. Se integrata in una corretta alimentazione, la birra, per il suo contenuto in vitamine e sali minerali, nonché in alcuni casi in principi attivi, può a buon diritto essere considerata facente parte di una dieta equilibrata. D’altro canto si schiera fortemente contro la Società Italiana di Alcologia, affermando che “Non ha senso. In qualsiasi tipo di bevanda alcolica c’è l’etanolo, che non disseta. Anzi, disidrata. L’Oms del resto ha detto che l’etanolo è cancerogeno”. Ancora: “L’etanolo è un composto tossico e cancerogeno e - in accordo a quanto ribadito dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc) - il consumo di qualunque bevanda alcolica, in funzione delle quantità e della frequenza di assunzione e considerando tutti gli effetti sull’organismo, comporta svantaggi netti e danni per la salute ed è incompatibile con lo sport».
Penso che in questi casi sia doveroso valutare il rapporto costo/beneficio.
Il consiglio del nutrizionista?
Vista la mia esperienza in studio, dove posso basarmi anche sui dati dell’esame Bioimpedenziometrico, l’uso dell’alcol in genere crea situazioni di aumento dell’infiammazione cronica di base e determina accumulo di grasso centrale. Spesso uno sportivo, con almeno 4 sessioni alla settimana, ha già un aumento dell’infiammazione causato dall’allenamento stesso e, ancora di più, in quei casi in cui è necessario associare un approccio nutrizionale ipocalorico. Meglio, sicuramente, è seguire un’alimentazione che apporti tutti i nutrienti necessari soprattutto nel delicato periodo del post workout dove l’organismo è in una situazione critica e necessita di trovare tutti gli elementi per la compensazione e la supercompensazione: elementi ben disponibili negli alimenti che inoltre non contengono sostanze tossiche, al contrario delle bevande alcoliche. Una valida alternativa che ha attirato la mia attenzione è una bevanda naturale post allenamento semplice, gustosa, normalmente ben accettata dagli atleti e che ha dato buoni risultati. Un bellissimo lavoro scientifico (2) su ciclisti ha dimostrato che il latte al cioccolato è significativamente un aiuto per il recupero post-esercizio. Il consumo di Chocolate Milk dopo l’esercizio fisico ha determinato un miglioramento della TTE (tempo di esaurimento) rispetto al placebo o bevande con carboidrati, proteine e grassi. Inoltre, il consumo di questa bevanda ha portato ad un abbassamento della concentrazione di acido lattico nel sangue rispetto al placebo (3).
Vediamo allora come prepararlo al meglio a casa.
DRINK AL CIOCCOLATO POST WORKOUT
Ingredienti:
• 250 ml di latte parzialmente scremato o latte di soia (non zuccherato!)
• 1 cucchiaio di zucchero o miele
• 1 cucchiaio di cacao in polvere
• una spolverata di cannella.
Procedimento: Mescolare energicamente, anche in uno shaker, possibilmente senza scaldare il latte per mantenere inalterate le proprietà nutrizionali. Avrete così circa 8 g di proteine e 24 g di carboidrati.
Che effetti ha l’alcol sul nostro organismo e precisamente su un organismo che si allena?
a) Metabolismo dei carboidrati: provoca inibizione della glicogenosintesi e stimolazione della gliconeolisi con conseguente depauperamento precoce delle scorte glucidiche.
b) Sistemi tampone: l’alcol favorisce la produzione e l’accumulo di composti acidi come il lattato e i corpi chetonici abbassando, di conseguenza, il pH del sangue. Ricordiamo che l’acidosi metabolica (abbassamento del pH ematico) è responsabile di sintomi come stanchezza, cefalea, nausea, vomito e può condurre al coma.
c) Sangue: l’alcol diminuisce l’efficienza nel trasporto ematico del ferro, un minerale coinvolto nei processi di produzione dell’Atp e nel trasporto dell’ossigeno. In particolare con la sua azione altera la sintesi delle diverse isoforme di transferrina. Tale proteina è coinvolta nel trasporto del ferro dalla sede di assorbimento a quella di utilizzo o di deposito (in particolare il fegato).
d) L’alcol causa un minor assorbimento della vitamina B12 e dei folati. Queste due sostanze sono fondamentali perché regolano alcuni processi fisiologici importanti. Una loro carenza implica un aumento di volume delle emazie (globuli rossi) e predispongono il soggetto all’anemia megaloblastica e a danni al sistema nervoso.
e) L’alcol è particolarmente tossico per i mitocondri, gli organuli cellulari che producono energia. Tra l’altro i mitocondri sintetizzano l’eme un complesso chimico presente nell’emoglobina in grado di legare l’ossigeno. Associando il declino nella produzione di eme al ridotto assorbimento della vitamina B12 e all’alterazione della transferrina, il trasporto di ossigeno ai tessuti viene seriamente compromesso. Tale alterazione influenza negativamente la prestazione sportiva soprattutto nelle attività di resistenza, come la corsa ed il ciclismo.
f) L’alcol riduce inoltre livelli di testosterone e limita la sintesi proteica fino a ventiquattro ore dopo il suo consumo, di conseguenza l’abuso di questa sostanza compromette l’incremento della massa muscolare.
g) Effetti sul sistema nervoso centrale: alterazioni nella contrazione muscolare, peggioramento dei riflessi, del tempo di reazione e delle capacità coordinative. In funzione di peso, età, stomaco pieno, stomaco vuoto l’effetto può avere impatti differenti in funzione di livelli di alcolemia estremamente variabili in accordo alle caratteristiche individuali tra cui presenza di particolari condizioni di salute o assunzione di farmaci che indicano la necessità di «negoziare» con il medico di fiducia il consumo di alcol…
Se birra deve essere, allora birra sia, sempre a stomaco pieno ma direi con molti “se” e tanti “ma”.
Bibliografia
(1) https://www.repubblica.it/salute/2016/05/10/news/birra_salute_sport_alcol_crea-an_-139521909/
(2) Karp JR, Johnston JD, Tecklenburg S, Mickleborough TD, Fly AD, Stager JM. Chocolate milk as a post-exercise recovery aid. Int J Sport Nutr Exerc Metab. 2006;16(1):78-91. doi:10.1123/ijsnem.16.1.78
(3) Chocolate milk for recovery from exercise: a systematic review and meta-analysis of controlled clinical trials. Mojgan Amiri, Reza Ghiasvand, Mojtaba Kaviani, Scott C. Forbes, Amin Salehi-Abargouei 1,2
Mi raccomando non esagerare con le uova!!!
Chissà quante volte vi è stata detta questa frase e, spesso, vi siete “giustificati” dicendo che voi (sportivi) mangiavate solo il bianco e al massimo 1 o 2 tuorli a settimana……. Bhe, siamo certi che non ci sarebbe bisogno di dirvelo, ma vi confermiamo che è ormai da tempo che le uova sono state assolte dalle problematiche legate a varie interferenze negative, in primis su fegato e colesterolo. Gli studi sono tanti ma uno (Association of Egg Intake With Blood Lipids, Cardiovascular Disease, and Mortality in 177,000 People in 50 Countries; Dehghan M Clin Nutr 2020 Jan 21) è stato fatto analizzando i dati prodotti dalle valutazioni di:
- 83.349 infermiere tra i 30 e i 55 anni osservate dal 1980 al 2012
- 90.214 infermiere con un’età compresa tra i 25 e i 44 osservate dal 1991 al 2013
- 42.055 professionisti sanitari di sesso maschile tra i 40 e i 75 anni osservati dal 1986 al 2012
Concludendo come “Un consumo moderato di uova, fino a un uovo al giorno, non si associa al rischio generale di patologie cardiovascolari”. Analoga indicazione ci viene da un altro studio (Egg consumption and risk of coronary heart disease and stroke: dose-response meta-analysis of prospective cohort studies; BMJ Published 7 January 2013) dove in sintesi il risultato della meta-analisi non supporta la teoria che un maggiore consumo di uova è associato ad un elevato rischio di malattia coronarica e ictus.
L’uovo è un alimento certamente alla base dell’alimentazione degli sportivi, fa parte di molte cucine tradizionali ed ha grandi vantaggi legati non solo al basso costo, alla facilità di cottura ma anche alle sue innumerevoli componenti positive prima fra tutti il suo quantitativo (e qualitativo) proteico e il suo prospetto lipidico e vitaminico. Il tuorlo infatti non contiene solo proteine ma anche metionina (e altri AA solforati utili al fegato) e inositolo, regolatori del metabolismo lipidico che vengono usati anche per contrastare la steatosi epatica; inoltre contiene Colina che oltre ad essere un modulatore del metabolismo lipidico è un precursore dell'acetilcolina, un neurotrasmettitore basilare per la contrazione muscolare. Sono inoltre presenti vitamina D (basilare sia per la salute ormonale che muscolare e immunitaria) e molte altre vitamine liposolubili come le vitamine E, K e A. Da tempo sappiamo che la presenza di grassi saturi in un alimento non significhi automaticamente aumento di rischio cardiovascolare legato ad un proporzionale aumento del colesterolo (prodotto in significative quantità dal fegato, spesso rappresentando la stragrande maggioranza della quota circolante). Le uova sono inoltre ricche di acido stearico; un grasso saturo che, a livello epatico, può essere convertito in monoinsaturo. Quindi quando parliamo di uova, anche e soprattutto per gli sportivi, non buttiamo tutti i tuorli, che possono invece rappresentare un alimento prezioso. Il tuorlo infatti oltre a contenere sostanzialmente tante proteine quante l'albume, contiene anche numerose vitamine e micronutrienti utili all'organismo. Tra questi è bene ricordare:
- Colina: (descritta in precedenza)
- Vitamina D: svolge un ruolo fondamentale nel mantenimento delle strutture ossea, muscolare e nel bilancio del sistema immunitario (è riportato come la popolazione italiana, nonostante l'abbondante esposizione solare, ne sia in genere carente)
- Vitamina E: importantissima nella difesa antiossidante delle membrane cellulari
- Vitamina K: fondamentale nella modulazione della coagulazione sanguigna
- Vitamina A: essenziale per la salute e la funzionalità dell’occhio e della pelle La presenza di queste sostanze, soprattutto in termini di concentrazione vitaminica, risulta ancora più marcata nelle uova di provenienza biologica da allevamenti a terra. Proprio per la ricchezza di vitamine liposolubili (generalmente termolabili) è sconsigliato sottoporre il tuorlo a cottura, mentre per l’albume la cottura è consigliata per inibire l’azione dell’avidina.
La presenza di avidina riduce la disponibilità della vitamina B7 (biotina) inoltre, cosa ancora più importante, le proteine dell'albume crude si dimostrano molto meno digeribili rispetto a quelle cotte. Se ne deduce che una modalità ottimale per consumare le uova è preparandole alla coque o in camicia; ovviamente le cotture con fritture in olio sono altamente sconsigliate se l’obiettivo è quello di mantenere integre le proprietà nutrizionali. Da quello che ci dice la letteratura un uso intelligente delle uova è difficilmente collegabile a problematiche cardiovascolari o all’aumento del colesterolo; fattore quest’ultimo che viene certamente aggravato in maniera significativa dall’uso smodato di zuccheri semplici (con i relativi picchi glicemici), analogamente al consumo di alcolici, fattori nel complesso più dannosi di un equilibrato utilizzo di uova intere. Risulta ragionevole pensare che in modo direttamente proporzionale al tipo di attività svolta, alla frequenza, al volume e all’intensità della stessa, il consumo di uova possa anche essere maggiore di quello osservato negli studi riportati in apertura. Ovvio che è poi sempre meglio confrontarsi con un professionista per avere delle indicazioni e verificare l’andamento generale dell’alimentazione perché, come riportato dalle principali linee guida in ambito medico, difficilmente c’è u unico alimento responsabile di un quadro salutistico negativo; occorre sempre prendere in considerazione lo stile di vita sia dal punto di vista alimentare che da quello comportamentale. Ricordando che molto spesso è la sommatoria di una serie di errori che crea il problema.
- Dehghan M . et.al. Association of Egg Intake With Blood Lipids, Cardiovascular Disease, and Mortality in 177,000 People in 50 Countries Am J Clin Nutr 2020 Jan 21[Online ahead of print]
- Rong Y et.al. Egg Consumption and Risk of Coronary Heart Disease and Stroke: Dose-Response Meta-Analysis of Prospective Cohort Studies BMJ, 346, e8539 2013 Jan 7
Integratori (e non solo…) e sistema immunitario
Credo che mai come in questo periodo di “coronavirus” ci sia stato un interesse così forte verso l’integrazione; questo in positivo ed in negativo. Personalmente mi sono ormai “rassegnato”; ci saranno sempre quelli fermamente contrari convinti dell’inutilità e quelli altamente favorevoli certi sul loro utilizzo. Difficile anche stabilire una verità assoluta. Ovvio che una integrazione è proporzionalmente più efficace alla carenza della stessa, ma questo è banale. Altra ovvietà è che la funzionalità di un sistema immunitario è proporzionale a tanti fattori dove la “salubrietà” dello stile di vita è fondamentale , fra questi stili di vita figurano in prima fila l’alimentazione (priva di cibi spazzatura); a questo proposito è bene ricordare come i virus vengano abbondantemente nutriti da alimentazioni ricche di zuccheri in quanto usano tale substrato viene da loro usato per produrre energia. Del resto alimentazioni come il digiuno intermittente (ed a mio avviso lo avrebbe ancora di più con bassi livelli di CHO) abbia dato positivi riscontri sull’abbassare i livelli di IL-6, CRP e omocisteina.
Gli altri fattori che intervengono sono sullo stile di vita abbiamo, il riposo, la gestione dello stress (e la paura e l’ansia agendo su cortisolo e adrenalina sono demolitori del sistema immunitario) e, non certo ultima l’attività fisica. Vorrei evitare polemiche sulle indicazioni governative che vanno rispettate, ma vorrei anche segnalarvi come il direttore generale della Word Healt Organization, nella comunicazione del 20 marzo e di cui ringrazio Luca Pisani per avermela girata, abbia sottolineato l’importanza della attività fisica come basilare fattore di stimolo per il sistema immunitario aumentando i livelli di globuli bianchi e di anticorpi che combattono le infezioni. Questa necessità è sottolineata anche dal prof. Garattini. Più diventiamo sedentari più le difese si abbassano (se poi ci aggiungiamo anche alcol, fumo e cibi spazzatura il gioco è fatto). Ma torniamo agli integratori. Certo che sui motori di ricerca scientifici si trova tutto ed il contrario di tutto, ma, anche se ci fossero solo pochi studi che depongono a favore, io sono per perseguire quella strada, questo perché ci sono poi le esperienza di migliaia di professionisti dell’alimentazione e di milioni di utenti (potremmo fare uno studio osservazionale) che depongono a favore. Questo bisogno aumenta esponenzialmente più si è sotto stress psico-fisico, ma anche su sedentari sono certi abbia una efficacia.
Sono ben consapevole che a volte i dosaggi usati sono ben più alti di quelli normalmente indicati dal ministero per gli integratori, ma qualsiasi nutrizionista o medico può darvi indicazioni al riguardo; inoltre anche se alcuni studi sono fatti su assunzioni endovenose, ce ne sono molte che si riferiscono all’uso orale. Importante segnalare come, nella maggioranza dei casi il rapporto rischio beneficio sia nettamente a favore di quest’ultimo parametro.
VOGLIO QUI RIPORTARVI SOLO ALCUNI STUDI
Vitamina C: per brevità riporto i punti salienti positivi (ben sapendo che uno studio va analizzato nel dettaglio); come già detto segnalo che spesso i dosaggi usati sono molto più alti di quelli normalmente usati e che non tutti i dubbi sono risolti ma in ogni ricerca le prospettive positive superano i dubbi (anche per la mancanza di rischi)
Vitamin C and Infections by Harri HemiläOrcID
Department of Public Health, University of Helsinki, Helsinki FI-00014, Finland
Nutrients 2017, 9(4), 339; https://doi.org/10.3390/nu9040339
Numerose ricerche hanno studiato gli effetti della vitamina C su diverse infezioni. Un totale di 148 studi su animali hanno indicato che la vitamina C può alleviare o prevenire le infezioni causate da batteri, virus e protozoi. Tre studi controllati hanno scoperto che la vitamina C ha prevenuto la polmonite. Due studi controllati hanno riscontrato un beneficio terapeutico della vitamina C per i pazienti con polmonite.
Vitamin C may reduce the duration of mechanical ventilation in critically ill patients: a meta-regression analysis
Harri Hemilä & Elizabeth Chalker
Journal of Intensive Care volume 8, Article number: 15 (2020) Cite this article
La vitamina C accorci in media la durata della ventilazione meccanica del 14%. In studi controllati, la vitamina C ha migliorato la funzione endoteliale, abbassato la pressione sanguigna, aumento della frazione di eiezione ventricolare sinistra, riduzione dell'incidenza della fibrillazione atriale, riduzione della broncocostrizione, prevenzione del dolore, riduzione della durata dei raffreddori e riduzione dell'incidenza dei raffreddori nelle persone fisicamente stressate e può anche avere effetti benefici contro la polmonite.
Vitamin C Can Shorten the Length of Stay in the ICU: A Meta-Analysis by Harri Hemilä 1,*OrcID andElizabeth Chalker 2
Nutrients 2019, 11(4), 708; https://doi.org/10.3390/nu11040708
Numerosi studi controllati hanno precedentemente scoperto che in alcuni contesti, la vitamina C può avere effetti benefici su pressione sanguigna, infezioni, broncocostrizione, fibrillazione atriale e danno renale acuto. In sei studi, la vitamina C somministrata per via orale in dosi di 1-3 g / die ha ridotto la durata della terapia intensiva dell'8,6%. In tre studi in cui i pazienti avevano bisogno di ventilazione meccanica per oltre 24 ore, la vitamina C ha ridotto la durata della ventilazione meccanica del 18,2%.
Wintergerst es, Maggini S, Hornig DH. Il ruolo di vitamina C e zinco ed effetto sulle condizioni cliniche. Ann Nutr Metab. 2006;50:85-94.
Le concentrazioni di vitamina C nel plasma e nei leucociti diminuiscono rapidamente durante le infezioni e lo stress. È stato scoperto che l'integrazione di vitamina C migliora i componenti del sistema immunitario umano come attività antimicrobiche e naturali delle cellule killer, proliferazione dei linfociti. La vitamina C contribuisce a mantenere l'integrità redox delle cellule e quindi le protegge dalle specie reattive dell'ossigeno generate durante l'esplosione respiratoria e nella risposta infiammatoria. Allo stesso modo, la denutrizione o la carenza di zinco hanno dimostrato di alterare i mediatori cellulari dell'immunità innata come la fagocitosi, l'attività naturale delle cellule killer e la generazione di scoppio ossidativo. Pertanto, entrambi i nutrienti svolgono un ruolo importante nella funzione immunitaria e nella modulazione della resistenza dell'ospite agli agenti infettivi, riducendo il rischio, la gravità e la durata delle malattie infettive.
Sulla vitamina D le considerazioni sono analoghe e gli studi sono centinaia. Anche qui sono cosciente della “superficialità” di queste mie esposizioni, ma la presenza di studi e di alto interesse credo non possano e non debbano essere sottovalutate. Anche perché se per la vit C ci può essere l’osservazione che in molti casi i livelli di assunzione sono alti, ci sono molti studi che evidenziano come una grande fetta della popolazione dimostri una carenza di Vit D.
How important is vitamin D in preventing infections?
P. O. Lang, N. Samaras, D. Samaras & R. Aspinall
Osteoporosis International volume 24, pages1537–1553(2013)
L'interazione con il sistema immunitario è uno degli effetti non classici più recenti della vitamina D. Recenti rapporti hanno supportato un ruolo per 1,25 (OH) 2D3 nel promuovere la normale funzione del sistema immunitario innato e adattivo. La capacità di questa vitamina di influenzare la risposta immunitaria umana sembra essere fortemente dipendente dallo stato 25 (OH) D3 degli individui e può portare a una risposta aberrante alle infezioni o addirittura all'autoimmunità in coloro che mancano di VitD. lo stato della VitD possa modulare la capacità di risposta del sistema immunitario umano. Inoltre la vit D potrebbe avere un ruolo nella resistenza dell'ospite ai patogeni comuni e possa essere efficace la sua integrazione per il trattamento o la prevenzione delle malattie infettive nell'uomo.
The role of vitamin D in pulmonary disease: COPD, asthma, infection, and cancer Christian Herr, Timm Greulich, Rembert A Koczulla, Silke Meyer, Tetyana Zakharkina, Meret Branscheidt, Rebecca Eschmann & Robert Bals
Respiratory Research volume 12, Article number: 31 (2011)
La Vitamina D ha una serie di attività fra cui l’influenza su processi come la regolazione immunitaria, la difesa dell'ospite, l'infiammazione o la proliferazione cellulare. La carenza di VitD è potenzialmente coinvolta in una serie di malattie polmonari. Numerosi ostacoli devono essere superati per convalidare il beneficio delle terapie basate sulla VitD. Tuttavia, i dati disponibili indicano che la VitD potrebbe essere utile per la prevenzione o la terapia di importanti malattie polmonari.
Journal of Autoimmunity
Volume 85, December 2017, Pages 78-97
Modulation of inflammatory and immune responses by vitamin D
Author links open overlay panelFrancescoColottaaBirgerJanssonaFabrizioBonellib
La somministrazione di VitD ha effetti benefici in numerosi modelli sperimentali di malattia autoimmune. Studi epidemiologici hanno indicato che l'insufficienza di VitD è frequentemente associata a disordini immunitari e malattie infettive. Sebbene la nostra conoscenza del calcitriolo come modulatore delle reazioni immunitarie e infiammatorie sia notevolmente aumentata negli ultimi decenni, sono necessari ulteriori studi in vivo e clinici per confermare i potenziali benefici della VitD nel controllo delle condizioni immunitarie e infiammatorie.
Journal of Clinical Virology
Volume 50, Issue 3, March 2011, Pages 194-200
Vitamin D and the anti-viral state
Author links open overlay panelJeremy A.BeardbAllisonBeardenabRobStriker
Prove più recenti suggeriscono che la vit D svolge anche un ruolo importante nella regolazione del sistema immunitario, includendo forse le risposte immunitarie all'infezione virale. Studi epidemiologici interventistici e osservazionali forniscono prove del fatto che la carenza di vitamina D può conferire un aumentato rischio di infezione da influenza e vie respiratorie. La carenza di vitamina D è anche prevalente tra i pazienti con infezione da HIV. Esperimenti di colture cellulari supportano la tesi secondo cui la vitamina D ha effetti antivirali diretti, in particolare contro i virus avvolti.
Molecolar Nutrition 07 September 2010
A review of the critical role of vitamin D in the functioning of the immune system and the clinical implications of vitamin D deficiency
Gerry K. Schwalfenberg
La vitamina D può svolgere un ruolo nella prevenzione delle infezioni o dove può essere utilizzata come trattamento primario o adiuvante per le infezioni virali, batteriche e fungine.
Anche sulla glutammina ci sono diversi studi che ne confermano l’utilizzo sul sistema immunitario e tantissimi sulla sua utilità nel recupero negli sportivi.
Cellular Physiology 28 March 2005
Molecular mechanisms of glutamine action
R. Curi C.J. Lagranha S.Q. Doi D.F. Sellitti J. Procopio T.C. Pithon‐Curi M. Corless
Modulazione della funzione immunitaria e Produzione di citochine
La glutammina è nota per modulare la funzione delle cellule immunitarie e la produzione di citochine sia in vitro che in vivo. È stato anche osservato un requisito per la glutammina per l'espressione di marcatori chiave della superficie delle cellule dei linfociti e per la produzione di interferone γ e fattore di necrosi tumorale α
Nutrition Volume 18, Issue 3, March 2002, Pages 217-221
Regulative potential of glutamine—relation to glutathione metabolism☆ panelErichRothPhDaRudolfOehlerPhDaNicoleManhartPhDaRuthExnerMDaBarbaraWessnerBScaEvaStrasseraAndreasSpittlerMDa
Studi sperimentali su animali hanno dimostrato che la somministrazione di GLN aumenta le concentrazioni tissutali di glutatione ridotto. C’è relazione fra basse dosi di GLN e ridotto metabolismo del glutatione. E’ conosciuta la relazione fra ridotto metabolismo del glutatione in una varietà di condizioni cliniche come lesioni da riperfusione, infarto del miocardio, insufficienza respiratoria, cancro, diabete, malattie del fegato e catabolismo delle proteine cliniche.
Glutamine and the immune system P. C. Calder & P. Yaqoob Amino Acids volume 17, pages227–241(1999)
La glutammina viene utilizzata ad alta velocità dalle cellule del sistema immunitario in coltura ed è richiesta per supportare la proliferazione e la produzione ottimale dei linfociti da parte dei linfociti e dei macrofagi. La fagocitosi mediata dai macrofagi è influenzata dalla disponibilità di glutammina. È stato suggerito che la riduzione della concentrazione plasmatica di glutammina contribuisce, almeno in parte, all'immunosoppressione. La glutammina o i suoi precursori sono stati forniti, di solito per via parenterale, a pazienti in seguito a intervento chirurgico, radioterapia o trapianto di midollo osseo o affetti da lesioni. il mantenimento delle concentrazioni plasmatiche di glutammina in un tale gruppo di pazienti molto a rischio di immunosoppressione ha l'ulteriore vantaggio di mantenere la funzione immunitaria. In effetti, la fornitura di glutammina ai pazienti in seguito a trapianto di midollo osseo ha comportato un livello inferiore di infezione e una degenza più breve in ospedale rispetto ai pazienti che hanno ricevuto una nutrizione parenterale senza glutammina.
A queste 3 molecole occorre poi aggiungere l’importanza dei probiotici; sottolineandole non solo l’uso come singoli pool, ma anche come la presenza di questi in multivitaminici o in preparati proteici, ne possa ampliare enormemente l’efficacia sul sistema immunitario. Gli studi sull’efficacia dei probiotici sono tantissimi e ne cito solo alcuni:
Critical Reviews in Food Science and Nutrition
Volume 54, 2014 - Issue 7Immune System Stimulation by Probiotic Microorganisms
Rabia Ashraf &Nagendra P. Shah
Nutrients 2011, 3(12), 1042-1070
Effect of Probiotic Bacteria on Microbial Host Defense, Growth, and Immune Function in Human Immunodeficiency Virus Type-1 Infection
Curr Opin Gastroenterol. 2011 Oct; 27(6): 496–501.
Probiotics and immune health
Fang Yana and D.B. Polkb,c,d
Concludo sottolineando che non c’è MAI una immunità totale e garantita ma, non ci sono dubbi che al di la dei farmaci e dei vaccini, sia il nostro sistema immunitario a rappresentare la nostra prima grande risorsa per affrontare queste aggressioni . Ci sarebbe poi da esplorare tutto il mondo dei fitoterapici ma questo richiede uno spazio a parte.
Vitamina D e salute: l'importanza della sua integrazione alla quotidiana alimentazione
La vitamina D3 svolge svariate funzioni ed è conosciuta soprattutto per la sua azione a carico del tessuto osseo. Spesso viene “sottovalutata”, perché, sapendo che viene prodotta dal corpo sotto l’azione dei raggi solari, si pensa che una sua integrazione sia inutile.
In realtà non è così, perché nonostante sia prodotta dall’uomo e sia contenuta in piccole quantità in alcuni alimenti, tra cui pesci grassi come aringhe, sgombri, sardine e tonno, possono esserci situazioni in cui la sintesi endogena o l’assunzione alimentare della vitamina D non siano in grado di fornire tutta la quantità di cui il corpo abbisogna o che occorre per affrontare particolari situazioni.
L’attività più ovvia e conosciuta della vitamina D riguarda la salute delle ossa. Ha il compito di mantenere i giusti livelli sanguigni di calcio e di fosforo ed è basilare per il metabolismo osseo, favorendo l’assorbimento del calcio. Questa sua azione fa in modo che l’assunzione di calcio con vitamina D (unita a opportuni farmaci come gli alendronati) sia uno dei presidi per affrontare problematiche come l’osteoporosi, i dolori ossei (osteomalacia) o la perdita di componente ossea. La vitamina D3 è attiva anche per patologie cardiache, circolatorie e ipertensive.
Un’altra interessante applicazione è quella che riguarda il controllo del colesterolo LDL. Applicazioni invece poco conosciute sono certamente quelle sul controllo del peso. La vit D infatti, aiuta a stabilizzare la glicemia attenuando la risposta insulinica. Queste potenzialità, che la rendono interessante per problematiche di sovrappeso, ma anche per situazioni di diabete di tipo 2, sono confermate dal fatto che bassi livelli di 25 (OH) D sono stati rilevati in soggetti con problematiche di ipertensione, diabete, obesità ed elevati livelli di trigliceridi. Da qui deriva un suo primo possibile ampio utilizzo nel mondo del fitness, al fine di regolare la sensibilità insulinica con un uso sia durante il giorno che prima di dormire, per ottimizzare l’effetto dell’ormone GH.
Negli ultimi anni, le ricerche mostrano come la vitamina D potrebbe avere numerosi altri effetti positivi. Alcuni studi indicano che l’effetto protettivo della vitamina D comincia quando si raggiungono dei livelli serici di 25 (OH) D compresi fra 24 e 32 ng/ml. Una riduzione importante del rischio di alcuni tumori potrebbe essere ottenuta, secondo questi studi, con l’assunzione quotidiana di 2.000 Ui di vitamina D3.
Ci sono interessantissime evidenze dove emerge come la vitamina D3 eserciti un effetto immunomodulatore (e di questi tempi è più che mai interessante….). In seguito a questa scoperta si è sviluppata una teoria in base alla quale le infezioni stagionali come l’influenza potrebbero essere dovute anche a una diminuzione delle concentrazioni di vitamina D durante il periodo invernale.
Altre grandi applicazioni della vitamina D3 riguardano la sua funzione antinfiammatoria, azione che si manifesta positivamente in situazioni patologiche come l’artrite reumatoide ma anche in alcuni casi di insufficienza cardiaca congestiva; in questi casi l’assunzione quotidiana di 1000/2.000 Ui di vitamina D3 ha diminuito il livello di citochine proinfiammatorie in parte responsabili della patologia. Questa funzione potrebbe rivelarsi utile nel post allenamento come attenuatore dei danni fibrillari, favorendo i recuperi.
Un altro campo da sempre conosciuto per il suo utilizzo è la sua azione a favore della muscolatura (ad esempio, sulla stanchezza muscolare); è infatti usata tradizionalmente per combattere il rachitismo, con un’azione svolta non solo sull’accrescimento osseo, ma anche una riconosciuta efficacia sulla fibra muscolare. Questa sua efficacia sembra si svolga, come precedentemente detto, sulla capacità di recupero, ma anche sulla ottimizzazione ormonale (quindi sulla crescita) che potrebbe svolgersi sia a favore dell’IGF1 che direttamente sui livelli degli ormoni androgeni. Negli uomini, infatti, livelli di D3 sono stati stabilmente correlati con quelli degli androgeni. Dalla bibliografia si desume che gli uomini con livelli più alti di vitamina D3 abbiano anche livelli più elevati di testosterone e meno alti di SHBG (Sex Hormone Binding Globuline), una glicoproteina che si lega a estradiolo, testosterone e diidrotestosterone, favorendone l’aromatizzazione (trasformazione degli androgeni in estrogeni). Logicamente i livelli più bassi si riscontrano nel periodo invernale ed in atleti sottoposti ad allenamenti intensi e frequenti. La procedura migliore sarebbe quello di dosare i livelli di 25 (OH) D ; comunque molti atleti usano, nei mesi con meno luce, una integrazione con 800/1000 Ui di Vit D3.
Stress è sempre un sinonimo negativo?
FACCIAMO UNA DISTINZIONE FRA EUSTRESS E DISTRESS
Stress è da sempre sinonimo di situazione psico-fisica negativa; questo legato allo stile di vita intenso, sia sociale che famigliare e sportivo. È necessario però capire che lo stress è in se' un elemento prezioso per creare adattamento organico, questo per renderlo più “robusto” e pronto per affrontare difficoltà maggiori.
In pratica il nostro organismo quando è sottoposto ad una sollecitazione (stress) cerca di reagire aumentando le difese creando la situazione psico-fisica migliore per affrontare una seconda volta quel determinato stimolo (è ciò che avviene con gli allenamenti). E’ la legge della supercompensazione e recupero dove, dato un determinato livello di stress, finito lo stimolo, il corpo reagisce ripristinando l’equilibrio e poi anche creando una situazione di maggior livello energetico-prestativo rispetto alla condizione pre-stressoria.
C’è una distinzione fra Eustress e Distress, il primo è una sollecitazione stimolante acuta, a cui seguono riposo e risorse per reagire e adattarsi; il Distress è invece una situazione cronica, continuativa, ininterrotta, che non ci lascia il tempo di adattarci ed impedisce al corpo di recuperare. Questa fase, per gli sportivi può coincidere con l’inizio dell'over training.
Ma quali sono i fattori che influenzano il recupero e dalla situazione di stress acuto adattativo si passa al cronico disadattativo?
I parametri sono molti e comprendono il tempo che intercorre fra uno stimolo e l’altro, l’intensità degli stessi, l’età del soggetto, le ore e la qualità del sonno, il tipo di alimentazione, la situazione di equilibrio ormonale, l’atteggiamento mentale e psicologico, il sistema immunitario, i sistemi di risposta degli organi interni e del sistema antiossidante.
Va da se' che molti fattori sono genetici, ma altri sono legati allo stile di vita, alla gestione dell’allenamento e dell’alimentazione/integrazione.
Mentre gli allenamenti a forte base aerobica possono anche avere una elevata frequenza settimanale, più si aumenta l’intensità e più questi vanno gestiti e già i 4 allenamenti sono per molti un limite invalicabile. Ovviamente una cosa è allenarsi per un tempo di 40 minuti, altra cosa fare sedute da 90 minuti; analogamente la valutazione dell’intensità.
Fondamentale è la previsione di settimane di scarico (parametro invece spesso trascurato) che nella maggioranza dei casi sono una vera e propria panacea.
L’alimentazione deve essere ben rapportata al tipo di sforzo, ad esempio scarse scorte di glicogeno (carboidrati troppo bassi) non aiutano il recupero; così come non è assolutamente detto che alla cena non occorre mangiare carbo, anzi, in alcuni casi inserendoli alla sera si notano recuperi migliori è una modulazione positiva del cortisolo. Una insufficiente quota proteica incide negativamente (ma anche una eccessiva è inutile), i grassi sono fondamentali per una risposta ormonale ottimale in risposta agli stimoli stressori.
Gli atleti professionisti, più sottoposti a stress intensi e continui, valutano con i medici il rapporto cortisolo / Testosterone, così come i valori di prolattina e anche CPK e LDH. L’integrazione ha fatto passi da gigante è può offrire un ampio spettro di possibilità. Si va dai BCAA o (ultimamente stanno prendendo il sopravvento) i pool di AA ricchi di tutti gli essenziali, da usare soprattutto nel post allenamento.
Troviamo poi la vit D e molti atleti usano, in concomitanza con gli allenamenti, anche un polivitaminico. La vit C si è rivelata importante ed ha una sua funzione anche nell’acuto post allenamento. Altro AA interessante è la Glutammina che può essere usata al mattino e alla sera. I pool di antiossidanti con vit E, acido lipoico, glutatione, Q10 sono certamente un possibile presidio da ciclizzare secondo i momenti di allenamento.
Anche nei fitoterapici troviamo vari supporti fra cui la Rhodiola, l’Aswaganda, il Geinseng. Ginkgo biloba, Eleuterococco. Da valutare poi i prodotti a base di Iperico, Melatonina, Griffonia per ottimizzare il sonno e quindi aiutare i recuperi. Molto importanti alcuni minerali fra cui il Magnesio ed il Calcio.
Come si vede il panorama degli interventi è molto vasto e richiede esperienze e professionalità. Spesso anche gli atleti più “scafati” faticano a riconoscere i sintomi legati ad un eccesso di stress (che molte volte coincide con l’inizio di over training); per questo la consulenza con dei professionisti che possano valutare lo stato generale diventa importante.
Una ultima nota è legata ai cambiamenti inaspettati della composizione corporea, dell’umore, dei cicli del sonno, disposizione all’allenamento, dei battiti cardiaci. Alterazioni apparentemente non giustificate di questi parametri possono essere un “sintomo” da valutare!