Centrifugati e smoothies
INTERESSANTI PROPOSTE APPLICATIVE PER IL PRE E IL POST WORKOUT
La lavorazione in centrifuga si rivela la metodica più interessante nella realizzazione di una bevanda “funzionale”, con caratteristiche interessanti nel mondo dello sport e del Fitness.
Le mode si sa vanno, vengono e a volte ritornano; per il praticante di fitness è importante però selezionare accuratamente le “buone pratiche” quotidiane che possono contribuire al miglioramento del proprio training, come ad esempio il consumo di bevande naturali prima o dopo l’allenamento. Negli ultimi anni si è assistito ad un forte ritorno della ricerca di soluzioni nutraceutico-nutrizionali realizzate attingendo al mondo del vegetale possibilmente nella sua forma più “integra” possibile. Questo, tra le altre cose, ha riportato in voga l’utilizzo di bevande realizzate frullando o centrifugando diversi vegetali o frutti, sia in purezza che sotto forma di diverse miscele, proponendo una sorta di “upgrade” di pratiche e ricette molto utilizzate intorno agli anni ’70 del secolo scorso. Queste due metodiche prevedono profonde differenze, sia dal punto di vista delle dinamiche di lavorazione, sia dal punto di vista del prodotto finale con essi ottenuto:
FRULLATORE
Permette di ottenere una miscela di succhi e polpa (ricca in fibre) dai vegetali lavorati mediante lame che girano a velocità medio-alte, mostrando da un lato interessanti proprietà salutistiche per l’intestino e per problemi di metabolismo, dall’altro una limitata e rallentata capacità di assorbimento delle sostanze contenute nel succo, proprio per la presenza di un elevato contenuto di fibre. Questa tipologia di lavorazione può degradare del tutto o in parte alcune sostanze termolabili, in quanto comporta un significativo incremento di temperatura.
CENTRIFUGA
Permette di ottenere i succhi privati della polpa, che viene raccolta separatamente (potendo essere consumata o meno), dai vegetali lavorati grazie alla forza centrifuga generata dalla rotazione di un cestello ad altissima velocità. Anche in questo caso ci sono vantaggi e svantaggi in quanto non consumando la componente fibrosa vengono persi i benefici a livello intestinale e metabolico, ma nel contempo viene massimizzata la biodisponibilità e la velocità di assorbimento delle sostanze presenti nel succo. Non sono lavorabili nelle comuni centrifughe i vegetali a foglia, che richiedono invece la lavorazione sottovuoto, nei così detti estrattori, per ottenerne il succo. Queste lavorazioni non comportano in genere incremento di temperatura, preservando la maggior parte delle sostanze termolabili.
Ovviamente il consumo dei prodotti ottenuti con le suddette lavorazioni deve essere immediato in quanto molte sostanze possono facilmente degradarsi o ossidarsi a contatto con l’ambiente esterno. La lavorazione in centrifuga si rivela senza ombra di dubbio la metodica più interessante nella realizzazione di una bevanda “funzionale”, con caratteristiche interessanti anche nel mondo dello sport e del Fitness. Quali sono i vegetali e i frutti più interessanti con questa finalità? Sono diversi e possono trovare interessanti capacità di collocazione sia nel pre che nel post workout.
PRE WORKOUT
I vegetali ricchi in nitrati, tra cui quello al momento maggiormente studiato è la Barbabietola Rossa, si rivelano importante risorsa per il pre workout. Questi vegetali infatti forniscono ottime quantità di precursori dell’ossido nitrico favorendo i processi di vaso-dilatazione e di conseguenza l’apporto di ossigeno e nutrienti a livello muscolare, migliorando la work-capacity e il metabolismo mitocondriale. I dosaggi maggiormente studiati prevedono l’assunzione di 500 ml di succo fresco e sono stati correlati a interessanti incrementi di performance anche in atleti di elite, che generalmente non mostrano importanti margini di miglioramento. Volendo “bilanciare” il sapore, non a tutti gradito, è possibile pensare al contestuale utilizzo di frutti quali mele, pere, agrumi oppure frutti rossi. Esistono in commercio anche succhi concentrati opportunamente conservati, che, a seconda del livello di concentrazione, possono essere consumati in quantità minori fornendo lo stesso tasso di sostanze desiderate.
POST WORKOUT
Per il post workout invece un’importante risorsa può essere tratta dal mondo dei frutti. Numerosi studiosi infatti si sono occupati di indagare le capacità del succo di ciliegie e/o amarene nella riduzione dei DOMS e dei principali marcatori ematici di infiammazione, che si innalzano anche in seguito all’allenamento, rivelando sorprendentemente come l’assunzione di dosi di succo, comprese tra i 200 e i 300 ml, sia correlata a effetti significativi dal punto di vista della riduzione di questi due parametri. Questo quantitativo equivale al consumo di circa 40 frutti, ma ovviamente consumando il succo privato della polpa è possibile aspettarsi effetti di livello superiore dovuti a una migliore biodisponibilità. Altro effetto molto interessante attribuito a ciliege ed amarene è quello di favorire l’escrezione dell’acido urico, applicazione molto interessante se valutata nel contesto dell’importante turnover e consumo proteico caratteristici dei praticanti di Fitness. Ultimo ma sicuramente non meno importante è il cacao, a cagione della sua presenza in flavanoli: queste sostanze si mostrano molto interessanti nel favorire il mantenimento di un’equilibrata funzionalità dei vasi arteriosi, contestualmente all’incremento nel VO2 manifestato in seguito all’assunzione. Queste caratteristiche fanno del cacao un alimento sostanzialmente dual-use, in quanto si potrebbe mostrare utile sia nel supportare l’attività assumendolo nel pre, sia in processi di recupero assumendolo nel post. Per i dosaggi la questione si complica alquanto, infatti molti studi parlano dell’assunzione di 30-40 g di cioccolato fondente, altri di flavanoli estratti dal cacao. Una buona soluzione potrebbe essere quella di addizionare al succo fave di cacao tostate e polverizzate (mediamente un quantitativo intorno ai 20 g/assunzione dovrebbe mostrarsi indicato). Anche in questo contesto, non sempre gusto e funzionalità vanno d’accordo, in quanto se da un lato è vero che l’aggiunta di yogurt e/o latte (di origine animale o vegetale) può migliorare le caratteristiche organolettiche nella realizzazione dei così detti smoothies, dall’altro potrebbe limitare l’assorbimento e di conseguenza l’efficacia delle sostanze estratte dai vegetali di interesse, incrementando inoltre in maniera significativa il tenore calorico della bevanda. Utilizzate singolarmente o miscelate opportunamente, queste soluzioni dal mondo della natura possono contribuire in maniera molto interessante ed alternativa all’ottimizzazione del workout e della performance.
Anziani in sovrappeso: quale scelta di allenamento per la massima forma
Sulla rivista New England Journal of Medicine è stato pubblicato uno studio combinato che ha messo a confronto (su over 65) gli effetti di solo allenamento aerobico, solo allenamento con pesi e la combinazione delle 2 metodiche.
L’obbiettivo era quello di verificare quale soluzione desse più risultati sia sotto l’aspetto della forza e del controllo e calo del grasso corporeo, della densità ossea (contrastando Sarcopenia e Osteopenia). L’alimentazione era uguale per tutti, bilanciata e che garantiva poco più di 1g di proteine x Kg peso. Allenamento di 3 volte a settimana. Il training aerobico era sui 60 minuti al 65% e gradualmente aumentato al 75%. L’allenamento con i pesi era di 9 esercizi con metodica total body, carico al 65/75% con reps fra le 8 e le 12. L’allenamento misto era 35/40 minuti di aerobica con 25/30 minuti di esercizi con i pesi. Venivano sempre fatti esercizi di mobilità ed equilibrio. Durante i 6 mesi di osservazione tutti hanno migliorato il punteggio ottenuto al Physical Performance Test, ma il gruppo che ha ottenuto il punteggio più alto è stato quello dell’allenamento misto. La massa grassa è calata leggermente di più nel gruppo aerobico, ma forza e densità ossea sono stati migliorati dalla presenza dei carichi.
Dieta: meglio mangiare presto che tardi per la crononutrizione
Non conta solo cosa e quanto si mette nel piatto ma anche a che ora si mangia.
Questo perché secondo diversi recenti studi, il nostro metabolismo cambia nel corso delle 24 ore, comportando quindi una diversa capacità di lavorare, di assimilare e appunto di metabolizzare il cibo che ingeriamo. Quindi, tanto per fare un esempio, un’amatriciana consumata a pranzo non è la stessa cosa, in termini di effetto sul peso corporeo e quindi sulla salute, di una identica pasta consumata prima di andare a letto.
Questa è l’idea che sta dietro la crononutrizione, che non è una nuova dieta ma un regime alimentare di cui si è cominciato a parlare verso la metà degli anni Ottanta che tiene conto dell’importanza di sincronizzare i pasti col nostro orologio interno, a cominciare dal ciclo sonno-veglia, luce-buio. Scientificamente è meglio anticipare i pasti in quanto gli ormoni seguono un ritmo circadiano. Basti pensare all’insulina, che ha un picco intorno alle 17, o alla leptina, l’ormone anoressizzante, che ce l’ha verso l’una di notte.
Chi consuma la maggior parte delle calorie nella prima parte della giornata è più magro, ha minor rischio diabetico e cardiovascolare. Al contrario di chi per lavoro è costretto a stare sveglio la notte, che invece è a maggior rischio metabolico e cardiaco. Probabilmente perché se la notte si sta svegli, si tende a mangiare di più, o perché la luce compromette il corretto funzionamento dell’orologio biologico.
Superfood nuova risorsa per il fitness?
UTILI PER COMPLETARE L’ALIMENTAZIONE QUOTIDIANA O PER SOPPERIRE A SPECIFICHE NECESSITÀ NUTRIZIONALI.
Superfood o super cibi = alimenti di origine naturale ad alto contenuto di determinati nutrienti
Il mercato della nutrizione propone regolarmente nuovi prodotti, a volte molto tecnici, mentre altre piuttosto fantasiosi che promettono i più svariati vantaggi per i consumatori. L’ultimo caso è quello dei SUPERFOOD. Di cosa si tratta e in quale categoria di prodotto attualmente conosciuta possono essere collocati? Un prodotto nutraceutico identifica – nella sua definizione più estesa - “qualsiasi sostanza che possa essere considerata un cibo o un alimento e che possa fornire benefici clinici, compresi la prevenzione e il trattamento della malattia”. Definizione molto generica che, in senso esteso, potrebbe racchiudere di tutto, alimenti interi, estratti vegetali oppure singole molecole. Analizzando invece diverse definizioni di ‘alimento funzionale’ è possibile riscontrare come in questo contesto ci si riferisca ad alimenti che nella loro interezza sia in forma nativa che in forme concentrate, possono fornire un beneficio per la salute, la prestazione o la forma fisica. Un superfood non è nient’altro che un alimento che nella sua interezza si dimostra estremamente ricco in uno o più principi nutritivi in grado di arrecare i suddetti effetti benefici. Si può quindi, a pieno titolo, collocare questi prodotti tra gli alimenti funzionali compresi nella macrofamiglia dei nutraceutici. In particolare questi alimenti vengono caratterizzati dal suffisso ‘SUPER’ in quanto si contraddistinguono per l’alto contenuto di particolari macronutrienti, micronutrienti o sostanze ad azione antiossidante in essi contenuti. Inoltre essendo per la maggior parte piante erbacee e frutti, i superfood oggi più comunemente utilizzati sono naturalmente privi di glutine e lattosio, mostrandosi adatti anche per il consumo da parte di soggetti affetti da celiachia, gluten sensitivity o intolleranza al lattosio, che avendo delle limitazioni in campo nutrizionale possono trovare proprio in questi alimenti una valida fonte di nutrienti alternativa. Tra le diverse proposte disponibili sul mercato si mostrano particolarmente interessanti le forme mono-ingrediente, che permettono di utilizzare l’alimento evitando la presenza di qualsiasi additivo alimentare oppure in multi-ingrediente dove l’abbinamento avviene esclusivamente tra diversi superfood in assenza di particolari additivi alimentari. Particolare attenzione va prestata inoltre alle etichette: infatti prodotti dall’alto profilo qualitativo vengono coltivati secondo il disciplinare previsto per i prodotti biologici e lavorati in assenza di zuccheri o di sali aggiunti evitando così sia un surplus calorico che effetti metabolici non desiderati. Questi aspetti si rivelano piuttosto importanti sia per soggetti con problemi metabolici come ad esempio diabete, insulino-resistenza o ipertensione oppure semplicemente per soggetti in regime dietetico controllato. A seconda della diversa natura degli alimenti di base, la maggioranza dei superfood presenti sul mercato sono confezionati o sotto forma di prodotti porzionati ed essiccati mediante processi adatti a mantenerne le caratteristiche nutrizionali oppure vengono liofilizzati. Questo processo implica una lavorazione a -42°C che permette di privare l'alimento di tutta l'umidità conservandone le proprietà nutrizionali. Una modalità di lavorazione che permette una conservazione del prodotto per tempistiche prolungate (senza l'aggiunta di conservanti). Un ulteriore vantaggio può essere ottenuto riducendo il liofilizzato in polvere, infatti è così possibile realizzare un prodotto ben miscibile con altri liquidi e/o alimenti e soprattutto dosabile in maniera estremamente versatile. Quali sono quindi i superfood più interessanti per il praticante di fitness o comunque per chi ha uno stile di vita attivo?
I superfood possono rivelarsi interessanti strumenti nutrizionali utili sia per completare l’alimentazione quotidiana che per sopperire a specifiche necessità nutrizionali utilizzando un vero e proprio alimento, una strategia alternativa spendibile anche per tutti quei soggetti che – per diverse motivazioni – preferiscono non ricorrere ai prodotti comunemente utilizzati nell’integrazione alimentare.
BOOM DEI SUPERFOOD NEI SUPERMERCATI
Non solo l’appassionato di fitness o l’atleta, ma un po’ tutte le persone sono attirate dai cosiddetti superfood, cioè alimenti che spesso vengono da mondi e tradizioni gastronomiche lontane o magari solo dimenticate, ma dotate di caratteristiche salutistiche “speciali”. Al punto che il 33% di persone ritiene che questo tipo di cibi siano né più né meno che un rimpiazzo delle medicine (dato emerso dalla Global Survey di Nielsen "Health/Wellness: food as medicine"). Si spiega così l’aumento incredibile di vendite di alcuni superfood, nei primi mesi del 2017, nei supermercati a marchio Coop: avocato +78%, zenzero +72%, olio di lino +52%, semi di lino +44%, semi di zucca +43%, germe di grano +41%, quinoa +39%, curcuma +22%, canapa +17%, goji 16%, farina di riso +15%, stevia +14%, semi di chia + 14%, zucchero di canna +12%, farro +12%, mandorla +10%.
I piaceri della carne
LA CARNE È UN ALIMENTO CHE CONTINUA A FARE DISCUTERE MA, SECONDO DIVERSI STUDI, IN REALTÀ NON È NOCIVA SE CONSUMATA CON MODERAZIONE E FACENDO ATTENZIONE ALLA QUALITÀ.
La carne di qualità, ossia di animali a pascolo e non frutto di allevamento intensivo, ha molteplici virtù perché contiene vitamina B12, carnosina, carnitina e Cla - Acido Linoleico Coniugato.
Calma, so bene che un titolo del genere fa subito scaturire in molti lettori pensieri “strani” ma non si tratta di sesso. Semplicemente di una proposta per un’analisi obiettiva sull’alimento carne e, soprattutto, sulla sua più o meno presunta tossicità/attività pro tumorale. Sulla scelta di inserire o meno la carne, motivata da scelte religiose o morali, non si può fare alcuna critica. Al limite, si potrebbe discutere la scelta coatta sui bambini, ma non è questa la sede per parlarne e personalmente sono per il libero arbitrio e soprattutto non trovo nulla da eccepire su chi decide di bandire la carne per motivazioni legate al non nuocere ad altri esseri viventi.
Un discorso diverso, invece, è quando si arriva a eliminare la carne spinti dalle pressioni operate da molti media e soprattutto alla luce di alcuni studi, il più famoso dei quali è quello diffuso dalla OMS - Organizzazione Mondiale della Sanità, due anni fa, in cui emergeva una correlazione fra consumo di carne e tumori all’apparato digerente. A dire il vero, già in questo studio, l’attenzione veniva posta soprattutto sui consumatori di carne lavorata, ossia dalle salcicce ai würstel, Hot dog, carne insaccata industriale con nitriti e nitrati, carne in scatola, etc. Anche secondo la rivista inglese “Lancet Oncology”, le carni rosse sono state inserite nel gruppo 2A, cioè nel gruppo per il quale la correlazione tra un consumo eccessivo di carni rosse e l'insorgenza di tumori al tratto intestinale è considerata “probabile”. Le carni rosse trasformate, invece, sono state catalogate fra i cancerogeni appartenenti al gruppo 1. Ed esiste una correlazione fra dose settimanale/rischio. Un interessante e dettagliato studio pubblicato su “American J Clinic Nutritional” analizza la mortalità nei vegetariani e non vegetariani nel Regno Unito. Il lavoro ha coinvolto un’analisi congiunta dei dati di due studi prospettici che comprendevano 60.310 persone nel Regno Unito, comprendenti 18.431 mangiatori di carne regolari (che in media mangiavano carne ≥5 volte a settimana), 13.039 mangiatori di carne bassi (< a 5 volte a settimana), 8.516 mangiatori di pesce (che mangiavano pesce ma non carne) e 20.324 vegetariani (compresi 2.228 vegani che non mangiavano cibi animali). Cosa è risultato? Non sembra esistere nessuna differenza, a livello di aspettativa di vita, fra un moderato consumatore di carne e vegetariani, vegani e utilizzatori di pesce ma non di carne. Discorso diverso vale invece per i “veri carnivori”, fra cui risulta maggiore la probabilità di morte per malattie circolatorie; carcinoma maligno; cancro del pancreas; tumori del tessuto linfatico / ematopoietico, malattia respiratoria. Interessante è anche il fatto che i dati sono stati aggiustati tenendo conto pure del BMI (Indice di Massa Corporea) senza variare di molto i risultati finali. Questo dato sembra essere confermato anche da uno studio Italiano del 2000 “(Red Meat Intake and Cancer Risk: A Study in Italy”) pubblicato sulla prestigiosa rivista “International Journal of Cancer” dove, pur con i dovuti dubbi legati al quantitativo, non sembrano esistere dati così certi e statisticamente convincenti nel collegare il consumo di carne (non certo l’abuso) e l’insorgere di molteplici patologie tumorali. Ma quali sono i benefici della carne? Prima di accennare alle virtù della carne, ritengo doveroso fare una grande differenza fra carne di allevamento intensivo e carne di animali a pascolo. Cambia non tanto il valore proteico ma il sapore e soprattutto la qualità dei grassi, molto più ricchi di Omega 3 e anche del prezioso DHA che aiuta lo sviluppo delle attività cognitive. La carne rossa contiene la vitamina B12, vitamina base per la sintesi proteica e per il legame del ferro con l’emoglobina. Diversi studi evidenzino come le persone che effettuano alimentazione vegane rischiano una carenza di vitamina B12. Un’altra molecola estremamente interessante è la carnosina, un aminoacido sintetizzato dall’unione fra alanina e istidina. La carnosina ha una spiccata attività antiossidante e favorente l'ATPasi miosinica, ma nell'ambito sportivo è famosa per la sua azione tampone sul controllo dell’acido lattico, permettendo quindi maggiori performance anaerobiche lattacide.
Nella carne troviamo inoltre un alto livello di carnitina che lavora efficacemente per il metabolismo lipidico a livello dei mitocondri, processo questo estremamente utile sia per le performance che per il supporto alla lipolisi. La carne è anche ricca di taurina, un aminoacido attivo su globuli bianchi, muscoli, sistema nervoso centrale e di supporto al funzionamento cardiaco. Fra i grassi presenti nella carne, si evidenzia anche il CLA (Acido Linoleico Coniugato), molecola dall'azione antiossidante e di protezione tumorale nonché immunomodulative. Il CLA è comunque attivo anche nel ridurre il pericoloso colesterolo LDL che forma le placche vascolari. Ma il CLA è stato ampiamente studiato anche per il dimagrimento in quanto migliora l’efficienza dell’insulina combattendone la resistenza cellulare e sembra svolgere un’azione positiva a favore della Lipolisi. Da sottolineare che il CLA è molto più presente negli animali allevati a pascolo La conclusione credo possa solo essere che ancora una volta occorre avere un occhio attento alla qualità e al controllo di filiera degli alimenti. Il modo in cui un alimento viene prodotto determina infatti la qualità del prodotto finale. Meno manipolazioni vengono fatte, più il cibo mantiene le sue peculiarità (e di qui la diffidenza sempre maggiore verso la carne manipolata e industrializzata). Rispettando quanto appena detto si arriva al concetto di quantità: ogni abuso crea squilibrio. Quindi non è certo l'uso ponderato, inserito all'interno di una alimentazione logica e soprattutto variata che crea il problema, mentre invece la monotonia con dosi crescenti e magari di dubbia qualità è sempre potenzialmente destabilizzante. Questo concetto è semplice ma difficile a volte da fare capire ai giovani e soprattutto da fare conciliare con esigenze legate alla praticità e alla fretta per cui l'utilizzo di prodotti già pronti all'uso, conservati, trattati, etc. prende il sopravvento semplicemente perché sono più veloci al consumo. Ciascuno deve diventare sempre più sensibile a queste argomentazioni perché anche l'offerta del mercato si orienta secondo i bisogni e le scelte manifestate dai consumatori.
Le regole principali da rispettare per allenarsi
L’IMPORTANZA DI UN BUON PROGRAMMA ALIMENTARE CHE DEVE ESSERE PERSONALIZZATO A SECONDA DELL’ATLETA E DELLO SPORT PRATICATO.
Una delle priorità di ogni atleta è riuscire a “costruire” un buon programma alimentare. Molto semplicemente basterebbe bilanciare quantitativamente (calorie totali) e qualitativamente (percentuale di principi alimentari: proteine, carboidrati, lipidi, vitamine, minerali e acqua) le calorie utilizzate per il consueto fabbisogno giornaliero e per l’allenamento a quelle introdotte nell’organismo con il cibo. Cosa non proprio così semplice, perché a seconda della persona e dello sport praticato è necessario ricercare un programma nutrizionale che soddisfi in modo equilibrato la funzione energetica, plastica e regolatrice. L’obiettivo si ottiene: individuando il giusto quantitativo di carboidrati, utile a bilanciare la spesa energetica; grazie a un corretto apporto proteico, necessario a garantire il mantenimento (o l’aumento) della massa muscolare; ricercando l’adeguato consumo di grassi, i quali svolgono insieme ai carboidrati, una funzione energetica e plastica (oltre a svolgere una mediazione ormonale fondamentale per i recuperi); assumendo la frutta e la verdura, necessaria per l’azione plastica e regolatrice determinata dalle vitamine e dai sali minerali. Anche se non esistono formule magiche, si sa che l’organismo umano per la spesa calorica dei soli processi vitali (metabolismo basale), in linea generale, utilizza circa 1 kcal per kg corporeo all’ora (24 in un giorno), mentre per la donna il coefficiente è di soli 0,9 kcal per kg/h (21,6 in un giorno). Quindi un modo per poter calcolare il proprio metabolismo basale teorico è proprio quello di moltiplicare il peso in kg corporei per 24 nell’uomo e 21,6 nella donna (tabella 1).
Tabella 1: Calcolo del Metabolismo Basale (MB)
Detto questo, per conoscere il proprio fabbisogno giornaliero (FG), è necessario aggiungere al MB le calorie che si consumano nelle attività svolte durante la giornata. Per calcolare in modo semplice questo dato, è sufficiente aggiungere una percentuale del MB in base all’attività praticata (tabella 2)
Tabella 2: Calcolo del fabbisogno giornaliero
A seconda dell’obiettivo, sport, età, personale tolleranza, etc., l’atleta dovrà bilanciare in modo diverso il rapporto tra carboidrati, proteine e grassi. In generale, i carboidrati da prediligere dovrebbero essere quelli complessi e con un basso indice glicemico (pane e pasta integrale, frutta, etc.). Il quantitativo di quest’ultimo macronutriente si dovrebbe raggirare sul 40-50% delle kcal tot. Le proteine dovrebbero provenire da fonti diverse (pesce, carne, uova, legumi, etc.) in quantità del 15-30% delle kcal tot. Nella tabella 3 viene indicato l’apporto proteico consigliato dal JISSN – Journal of the International Society of Sports Nutrition.
Tabella 3: valutazione del fabbisogno proteico giornaliero da un recente studio (Kreider et al. 2010) pubblicato sul JISSN
I grassi da consumare preferibilmente sono quelli insaturi, specialmente se ricchi di omega 3 e 6. Il quantitativo si dovrebbe aggirare dal 15-30% delle kcal tot. Dato che “Noi siamo ciò che mangiamo”, molto importante è la qualità del cibo da assumere. Con un prodotto di qualità inferiore, anche se corretto come tipologia di alimento e come quantità, chiaramente non si riuscirà a ottenere lo stesso risultato.
Quando l’obiettivo è il calo del peso, naturalmente è necessario creare un deficit tra le calorie introdotte e quelle spese a vantaggio di quest’ultime. L’importante è non creare mai un programma alimentare che scenda al di sotto delle Kcal che rappresentano il MB. Il deficit calorico non dovrebbe superare le 100 kcal giornaliere per ogni 10 kg di peso corporeo (in un soggetto di 70 kg il deficit massimo deve essere di circa 700 kcal al giorno). Naturalmente il calo del peso sarà molto più veloce nei primi mesi per poi rallentare man mano che ci si avvicina all’obiettivo. Il modo migliore di affrontare un dimagrimento è quello di suddividere gli obiettivi in piccoli cicli che non superino il 5-10% del peso iniziale. Naturalmente il risultato migliore si otterrà cercando di rifinire il programma nutrizionale, personalizzandolo al meglio alla caratteristiche dell’atleta. Semplicemente, per tentativi, si dovrà modificare sia la percentuale di macronutrienti (proteine, carboidrati e grassi) sia il loro apporto totale calorico. Una prima modifica si può fare semplicemente mantenendo inalterato l’apporto calorico totale, ma sostituendo una porzione di carboidrati con una dello stesso equivalente calorico di proteine. In ogni tentativo la variazione nutrizionale non dovrebbe superare i 50-100g e deve essere mantenuta per almeno un paio di settimane. Valutando l’andamento del rendimento dell’atleta, si riuscirà a raggiungere il programma alimentare che risulta migliore. Al fine di aumentare l’assorbimento dei nutrienti e di impedire all’organismo umano di instaurare una condizione di “risparmio” in cui il MB si abbassa, è utile suddividere il quantitativo calorico in più pasti giornalieri (almeno cinque). Infatti, se tra un pasto e l’altro passano più di tre ore, l’organismo umano tende già rallentare il MB. Allo stesso modo non bisogna alimentarsi troppo spesso per non ingolfarsi, ma è necessario lasciar passare almeno 2-3 ore. In ogni pasto principale devono essere presenti le verdure e gli ortaggi per poter fornire all’organismo il necessario quantitativo di fibre e micronutrienti, mentre è consigliabile consumare la frutta durante gli spuntini. Concepire i grassi come il peggior nemico dell’atleta è l’errore più grande che si possa fare. Esistono grassi essenziali, altri considerati insaturi (di origine prevalentemente vegetale e da consumare con moderazione) e saturi (di origine prevalentemente animale e da limitare), ma tutti devono far parte della nostra alimentazione anche se in quantità diverse. Se si considera che ogni cellula corporea è rivestita da una membrana di grasso e che la maggior parte del tessuto del Sistema Nervoso Centrale) è grasso, allora si comprende istantaneamente l’importanza di questo alimento. Gli acidi grassi essenziali sono contenuti ad esempio nel tonno, salmone, pesce azzurro, sgombro, olio di oliva, semi crudi, frutta secca (non tostata), etc.
I latticini, anche se rappresentano un’altra categoria di alimenti utili all’organismo umano, dovrebbero essere inseriti con moderazione nel programma alimentare destinato al dimagrimento. Nei soggetti che non li tollerano bene, o si cambia alimento oppure si cerca di rintrodurli in piccole dosi da aumentare poi gradualmente per poter stimolare nuovamente la produzione della lattasi. L’acqua rappresenta il 70% del nostro peso corporeo ed è responsabile di tutte le funzioni biochimiche organiche, quindi limitare il suo consumo è un errore grandissimo. Soprattutto nel caso degli sportivi che dovrebbe cercare di bere almeno la quantità che si pensa di eliminare con la pratica sportiva.
Allenamento, nutrizione, integrazione e competizione
Specialmente quando si svolgono due sedute di allenamento al giorno, come di consueto accade negli sportivi agonisti, per favorire il recupero bisognerebbe consumare immediatamente dopo l’allenamento uno spuntino composto principalmente da carboidrati a rapida assimilazione. In questo specifico momento le finestre metaboliche sono totalmente aperte e recettive, quindi la frutta svolge un ruolo cruciale ricostituendo velocemente le scorte di glicogeno e fornendo l’importante apporto di vitamine e sali minerali, entrambi consumati durante l’allenamento. Inoltre molti frutti hanno anche un buon potere alcalino (abbassano l’acidità), quindi facendo la giusta selezione, si può contrastare anche l’acidità indotta dallo sforzo fisico. Per velocizzare ulteriormente il recupero e ricostituire rapidamente le scorte di glicogeno (o semplicemente per stimolare la crescita della massa muscolare), si può assumere con la frutta del glucosio, saccarosio, fruttosio e una piccola quantità di aminoacidi essenziali. Per quanto mi riguarda, consiglio di assumere immediatamente nella prima mezzora post-training, un cucchiaio di miele con una spremuta di agrumi diluita in acqua della frutta di stagione e un pool di aminoacidi. Il pasto successivo all’allenamento, per creare il giusto ambiente metabolico, deve presentare un giusto apporto di carboidrati (sono preferibili a basso indice glicemico, meglio se alimenti integrali), di proteine (ottimo il pesce e le carni magre) e di grassi (soprattutto quelli vegetali). Naturalmente la scelta deve essere indirizzata soprattutto agli alimenti che si riescono a digerire meglio.
Quando si inizia a praticare in modo importante un’attività sportiva, specialmente se si tratta di sport di categoria in cui spesso si segue un’alimentazione ipocalorica, è consigliabile assumere degli integratori, quali proteine in polvere, aminoacidi ramificati, creatina, etc. Le prime possono essere assunte al mattino o in alcuni spuntini per completare il bilancio proteico in un’alimentazione ipocalorica; gli aminoacidi ramificati compongono il 60% degli aminoacidi del muscolo scheletrico e la loro assunzione prima e/o dopo l’attività migliora il recupero favorendo l’anabolismo muscolare; la creatina assunta dopo allenamento migliora la ricostruzione delle scorte di fosfocreatina (fonte indiretta di riserva energetica) e favorisce anche lo stimolo anabolico. Un miglior assorbimento della creatina si ha quando la sua integrazione è associata a dei carboidrati ad alto indice glicemico che, stimolando in modo importante l’insulina, fungono da veicolante. L’integrazione può essere utile in quei casi in cui l’alimentazione non riesce a soddisfare le richieste nutrizionali. Deve però essere gestita in maniera personalizzata sull’atleta. Quali alimenti prediligere nel pasto pre-gara? Quelli a base di carboidrati, specialmente a basso indice glicemico, senza però escludere i grassi e le proteine. Per gli sport aerobici-anaerobici intermittenti di breve durata, un buon pasto da consumare tre ore prima delle gare – per esempio – potrebbe essere costituito da pane integrale con un po’ di burro spalmato sopra e qualche fetta di prosciutto crudo sgrassato.
I sette cibi suggeriti dai nutrizionisti
Avocado, latte di mandorle, limone, frutti di bosco, cavolo, uova di galline che mangiano bio e spinaci. Sono questi i sette alimenti che secondo i nutrizionisti rappresentano un ottimo punto di partenza per prevenire molte malattie e stare in forma. Perché? L’avocado fa bene al cuore e al cervello, in quanto pieno di fibre, vitamine K, C, E, A e del gruppo B, e fonte naturale di potassio. Il limone è naturalmente ricco di antiossidanti e vitamina C, oltre che di magnesio e potassio. Idem per i frutti di bosco. Il cavolo è considerato un superfood e favorisce il buon funzionamento di tutto il corpo. Le uova fanno benissimo, così come gli spinaci che contengono anche ferro.
Pietro Mozzi
SE VUOI ESSERE VINCENTE CURA L’ALIMENTAZIONE. I VANTAGGI SALUTISTICI E SPORTIVI DELLA DIETA DEI GRUPPI SANGUIGNI. ATTENZIONE A LATTE, FRUTTA E FARINE CON GLUTINE.
Medico con oltre 30 anni di esperienza e divulgatore dell’alimentazione secondo il gruppo sanguigno, Pietro Mozzi dedica la sua vita a migliorare il benessere delle persone. Il suo, infatti, non è semplicemente un regime per dimagrire, ma una scelta volta al conseguimento di uno stato di salute e di una forma fisica ottimali. L’obiettivo è di migliorare la qualità della vita, cercando di capire quali siano gli alimenti più adatti alla natura di ciascuno, individuando i cibi benefici, neutri e nocivi. Mozzi è stato l’ospite speciale del convegno “Alimentazione e integrazione per lo sport e la salute: aggiornamenti e analisi di strategie nutrizionali e tipologie di supplementi”, organizzato dalla Federazione Italiana Fitness a Bologna, lo scorso 18 febbraio. Durante l’incontro ha dato molti utili suggerimenti a istruttori e appassionati del fitness, partendo sempre dal presupposto che ogni persona ha un codice genetico unico di cui occorre tener conto.
Pietro Mozzi, come si è avvicinato alla dieta del gruppo sanguigno?
«Mi sono laureato in Medicina circa quarant'anni fa ma, in vita mia, non ho mai prescritto una medicina. Sin da ragazzo ho capito che quando mi ammalavo, era perché avevo mangiato qualcosa di sbagliato. Così ho approfondito la questione che più mi stava a cuore: la ricerca della causa della malattia. Tema ovviamente non facile, che va affrontato con perseveranza, senza mai darsi per vinti e nella convinzione che qualsiasi soluzione non è mai quella finale. Gradualmente è maturata la consapevolezza che la dieta dei gruppi sanguigni, così semplice e immediata, alla portata di tutti, è quella che garantisce i migliori risultati in rapporto alle principali malattie oggettive, dal diabete all'ipertensione, dall'ipercolesterolemia all'ipertrigliceridemia. Questo perché, una volta rimossi gli alimenti “sbagliati”, la malattia scompariva».
Ma non è vero anche che certi cibi possono dare fastidio solo in certi periodi o circostanze, senza per questo essere necessariamente nocivi per il nostro organismo?
«Ci sono certamente situazioni di sensibilità particolare. Per esempio in occasione di influenze molto aggressive, il nostro sistema immunitario – che sta sempre all'erta come una specie di sentinella – richiede ancora più attenzione con i cibi. Poi però, una volta ristabilito l'equilibrio, si ritorna come prima e quindi si possono reintegrare i cibi. Ma il concetto è un altro: il nostro organismo non è predisposto naturalmente per tutti gli alimenti e occorre evitare quelli “no” in base al proprio gruppo sanguigno».
I gruppi sanguigni sono quattro (A, B, AB, Zero), mentre la popolazione mondiale è di oltre 7 miliardi di persone. Ci saranno individui che, pur essendo di un certo gruppo sanguigno, proprio non tollerano certi cibi indicati per quel gruppo?
«Sì, può capitare. Mi viene in mente una coppia che conosco, formata da due persone del gruppo A: se il marito mangia lo zenzero sta male, mentre la moglie no. Ognuno è diverso dall'altro e bisogna prestare attenzione ai segnali che ci invia il corpo, per esempio la tosse, il naso che cola, gli starnuti, i pruriti, i crampi, i formicolii. Il problema è che nessuno ci ha insegnato ad “ascoltarci” per prendere poi gli opportuni accorgimenti. La dieta dei gruppi sanguigni è l'unica che tiene conto delle diversità, in quanto gran parte delle altre sono pensate per tutti, dalla mediterranea alla dieta a zona, dalla Dukan alla macrobiotica. La mia dieta, invece, si basa su una diversità specifica dei vari gruppi sanguigni, stampata nel nostro dna e legata alle caratteristiche immunitarie del nostro organismo».
Guardando indietro nel tempo, quanto è cambiata l'alimentazione con il boom dell'industria alimentare?
«Negli ultimi sessanta-settant'anni, l'industria alimentare ha fatto in modo che le regole durate millenni venissero all'improvviso stravolte. Sono state sconvolte anche le stagioni: prima i pomodori si mangiavano fino al massimo a settembre/ottobre, dopo tutto l'anno, e la stessa cosa vale per la frutta grazie all'avvento delle tecniche di conservazione. Sono state rivoluzionate le leggi che da sempre hanno governato tutti gli esseri viventi. L'industria ha poi molto sviluppato il latte e i derivati, i cereali e alimenti a base di cereali con tanto glutine. Sono frutto di questi ultimi anni anche gli edulcoranti, quali aspartame, maltodestrine, etc. Non c'è da stupirsi che siano comparse così tante malattie autoimmuni, forme prima sconosciute di tumore, sclerosi aggressive, e persino una recrudescenza di malattie cardiocircolatorie, diabete e obesità anche nei bambini, infertilità nelle donne. Questo per dire cosa? Che andare contro la natura è una battaglia persa, si rischia una severa punizione!».
Però ci sono anche dati confortanti come l'aumento della vita media delle persone.
«E qui veniamo al mito della longevità che, personalmente, non condivido. Vivere a lungo è bello ma se si riesce bene ad arrivare a una certa età, altrimenti è solo una sofferenza. Proviamo per un attimo a pensare a un ipotetico allevamento di bestiame. Come sarebbe valutato se gran parte degli animali avesse di continuo bisogno di visite veterinarie e farmaci? Un pessimo investimento. Ecco lo stesso ragionamento vale anche per gli esseri umani: un popolo è sano se è giovane e in salute, se è fertile e rigoglioso. Ma anche qui siamo arrivati a dei clamorosi paradossi. In Africa ci sono tanti bambini che potrebbero vivere anche solo con un euro al giorno e invece sono costretti a morire di fame mentre nei paesi ricchi ce ne solo altri malati, destinati a morire, ma tenuti in vita artificiosamente con tanti soldi. Certo, oggi la mortalità infantile è per fortuna diminuita, una volta si assisteva a una selezione naturale. I vecchi longevi di oggi sono per lo più persone nate anni fa che hanno sempre praticato una alimentazione spartana e una grande attività fisica».
Una alimentazione è dunque alla base di una vita lunga e in salute.
«Sì. La medicina e la chirurgia possono far molto, ma non tutto. Anche perché il vero problema è che se non si capiscono le cause delle malattie, queste continuano a diffondersi. Gran parte delle medicine servono per curare i sintomi, non per risolvere il problema, strada che si può invece tentare con il cibo. Ecco perché la medicina dovrebbe sempre più, come già stanno facendo alcuni oncologi, orientarsi verso le cause e prendere in considerazione gli alimenti, e non solo quando la malattia è comparsa, ma proprio a scopo preventivo. Se si attribuisce valore a fattori quali l'ansia, lo stress, la sfortuna, perché non anche al cibo, fonte del nostro sostentamento quotidiano?».
Analizziamo alcuni alimenti: frutta e fruttosio sono davvero così nocivi per il fegato e quindi per la salute*?
«Di certo non bisogna seguire l'esempio di Steve Jobs che era un fruttariano e ha pagato a caro prezzo questa sua scelta alimentare. So che l'attore incaricato di interpretarlo al cinema, Ashton Kutcher, aveva cercato di seguire la sua stessa dieta per meglio immedesimarsi in lui, ma ha dovuto sospenderla dopo il ricovero in ospedale per problemi al pancreas. Va detto anzitutto che la frutta andrebbe mangiata di stagione, ossia nei periodi in cui la natura fa crescere spontaneamente le piante, e in modo corretto. Anche il fruttosio, che ha preso il posto del saccarosio forse a torto demonizzato, ha dato parecchi problemi soprattutto di tipo muscolare a tanti sportivi. Mi viene in mente l'ex atleta Maria Guida, specialista del fondo che ho seguito per un po' di tempo: non aveva voglia di eliminare la frutta, molto nociva per il gruppo zero, e aveva di continuo problemi al tendine d'Achille».
A volte si dice che tutto mangiato nella giusta quantità, non fa male.
«È un luogo comune. La quantità giusta cambia da persona a persona. Nella mia esperienza so solo che il nostro sistema enzimatico non è fatto per mangiare tutto. Poi ci sono alimenti che singolarmente vanno bene, abbinati invece no. Tornando al discorso frutta, se mangiata a fine pasto dopo carne o pesce, va bene, mentre se abbinata a carboidrati produce incredibili gonfiori. Così come è meglio consumarla al mattino, piuttosto che la sera quando innalza la glicemia!».
Passiamo al latte. Qual è il migliore?
«Il latte di capra è quello più simile a quello umano. Ma se proprio non resistiamo, beviamo il latte di mandorla, un buon prodotto per noi che viviamo nel bacino del Mediterraneo. Detto questo, il latte è l'alimento specifico che la femmina dei mammiferi produce per il suo piccolo. Una volta finito lo svezzamento, non ha più ragion d'essere. Non si capisce perché, poi, dovremmo trarre beneficio dal bere il latte di un altro mammifero, pieno di ormoni nocivi che contrastano con il nostro sistema immunitario. Purtroppo e val la pena ricordarlo, un consumo eccessivo di latte e derivati è correlato a un esponenziale aumento di forme tumorali. In particolare per chi è del gruppo zero che dovrebbe proprio farne a meno».
Cosa ne pensa degli integratori utilizzati da gran parte degli sportivi?
«Dipende da che cosa sono ricavati. Se venissero presi da proteine del salmone o del tacchino, potrebbero anche andar bene, mentre sono da evitare quelli provenienti dalle proteine del latte e le terribili maltodestrine. Quando si parla di atleti si punta facilmente il dito contro il doping, considerato a giusta ragione possibile causa di malattie invalidanti, ma non bisogna dimenticare i gravi danni derivanti anche da un'errata alimentazione o dall'uso eccessivo di antinfiammatori per ritornare competitivi in fretta».
Guardando avanti nel tempo, quale sarà l'alimentazione del futuro?
«Un ritorno all'essenziale anche nell'alimentazione non potrebbe che fare bene. Ma è necessario vedere che cosa prevarrà tra l'interesse del genere umano a stare bene e in salute e l'interesse economico che invece ruota attorno alla malattia. Di certo, per vivere l'essere umano ha bisogno di mangiare. Voglio essere ottimista e credere che alla fine vincerà il buon senso e il benessere. Un alimento che mi piace molto è la quinoa, importata dall'America Latina, molto ricca di proteine, che già sta cominciando a spuntare nei supermercati con i prezzi in progressivo calo. Ottime sono anche le paste fatte con farina di ceci, fagioli, piselli, che contengono una quantità più grande di proteine e meno amido. Da agricoltore biologico da tempo, credo che i legumi saranno il futuro dell'agricoltura perché facilmente coltivabili e per di più arricchiscono i terreni».
*Studio del Bambin Gesù: troppo fruttosio è come l'alcol per il fegato dei bambini
Per i bambini ma non solo, il pericolo arriva dal fruttosio, aggiunto ai cibi e alle bevande, capace di scatenare dei meccanismi simili a quelli dell’alcol. Ogni grammo in eccesso rispetto al fabbisogno giornaliero (circa 25 grammi) accresce di una volta e mezza il rischio di sviluppare malattie epatiche gravi. Lo sostengono i ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù che, per la prima volta hanno dimostrato i danni del fruttosio sulle cellule del fegato dei più piccoli. I risultati dell’indagine sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Journal of Hepatology. A differenza del glucosio, che può essere utilizzato quasi da ogni cellula del nostro corpo, il fruttosio può essere metabolizzato solo dal fegato, perché esso è l’unico organo in cui è presente il suo trasportatore.
Carnosina e Beta Alanina - Contro l'acidosi
DUE MOLECOLE CON EFFETTO ‘TAMPONE’ CHE AIUTANO A MIGLIORARE LA PERFORMANCE.
La beta alanina, pur essendo più “lenta” a entrare in circolo rispetto alla carnosina, riesce a mantenere il suo effetto più a lungo ed è quindi molto adatta ad allenamenti duri con ripetute prove a intensità massimale lattacida.
“Mi brucia il muscolo!”. Questo grido d'allarme è abbastanza frequente, soprattutto quando si chiede al corpo – nostro o di un allievo – di spingersi verso il lato oscuro del metabolismo, quindi oltre soglia anaerobica, esplorando l’acidosi. Premesso che il dolore che si avverte dopo 48 ore dallo sforzo non è acido lattico (e se qualcuno ne è ancora convinto meglio metta in dubbio le sue conoscenze fisiologiche), rimane invece quella sensazione di ‘bruciore’ quando il muscolo si indurisce e si inizia chiaramente a percepire che si è giunti al limite della propria capacità di prestazione messa in crisi dalla massiccia produzione di acido lattico. Senza volere approfondire i dettagli è però importante capire che il “problema” non è la produzione di acido lattico in sé, produzione che oltre a essere fisiologica può diventare una risorsa energetica con il riciclo come acido piruvico, ma quando la quantità di acido lattico che viene prodotto è maggiore di quella che il corpo è in grado di smaltire e riutilizzare. Certo che per uno sportivo riuscire a gestire questa sensazione riuscendo a spostare in avanti il ‘blocco’ metabolico e la contrazione creata dall’accumulo di acido lattico, rimane una importante prerogativa per migliorare la performance. Molte sono le molecole a effetto tampone, la prima a essere usata è stato il “classico” bicarbonato, sostanza che ancora oggi ha un suo protocollo ma che va attentamente provato in anticipo e gradatamente perché fra le sue controindicazioni c'è la possibilità di dissenteria, situazione non certo piacevole soprattutto se si è nel pieno di una prestazione. Con il passare degli anni e la grande diffusione della creatina si è verificato come, accanto alle peculiarità energetiche/anaboliche di questa molecola, ci sono anche possibili utilizzi legati all'azione tampone. È infatti assodato che la presenza di disponibilità di creatina durante la prestazione agisca sul limite di accumulo dell’acido lattico.
La carnosina: la prima vera molecola a effetto tampone
La prima vera molecola con azione tampone è stata però la carnosina, che è un dipeptide formato dagli aminoacidi Beta alanina e istidina. Una molecola studiata da moltissimi anni. La sperimentazione della carnosina nel campo sportivo, nasce dall’osservazione della distribuzione e delle concentrazioni di questa molecola nel mondo animale. È infatti stimolante verificare come i muscoli di alcuni animali ne siano ricchissimi mentre in altri se ne trovano solo minime tracce. Alcuni animali con presenza massimale di carnosina muscolare sono il levriero e il cavallo purosangue da corsa: animali capaci di esprimere alti valori di potenza senza apparentemente risentire dell’alta produzione di acido lattico, caratteristica del tipo di esercizio da loro svolto e dal tipo di fibre muscolari impegnate. Al contrario nell’uomo, estremamente carente di carnosina, la produzione massiccia di acido lattico è uno dei fattori limitante delle prestazioni. Dal punto di vista biochimico, semplificando, la carnosina cattura l’atomo d’idrogeno dell’acido lattico consentendo così la riconversione in piruvico per la produzione di nuova energia, questo senza massiva alterazione del Ph muscolare. Viene così potenziata l’azione della cosiddetta “navetta del lattato”, quindi della possibilità di riutilizzare la produzione dell’acido lattico a fini energetici. Questa caratteristica aiuta a stabilizzare il Ph muscolare e ritarda l’inibizione del sistema enzimatico conseguente all’acidosi, il tutto con un’influenza positiva anche sulle funzioni collegate al metabolismo della fosfocreatina. L’assunzione esogena di carnosina sembra migliorare nettamente le prestazioni lattacide, questo con grande vantaggio di tutti quegli sportivi che devono altrimenti interrompere una prestazione per sopravvenuta acidosi massimale. Come già accennato all'inizio, in molti casi, la rapida salita della concentrazione di acido lattico, non sufficientemente tamponata in sede di cellula muscolare, invia segnali precoci di affaticamento distrettuale quando ancora esistono riserve energetiche (locali e generali) capaci di permettere la continuazione del lavoro. Interessante notare come la concentrazione di carnosina sia strettamente correlata sia alla percentuale di fibre bianche che alla capacità prestativa dell’atleta; risulta infatti che atleti di sport anaerobici lattacidi con alte performance hanno fatto registrare le concentrazioni di carnosina muscolare più alta di qualsiasi altro sportivo. Altre azioni biochimiche di particolare interesse, messe in luce dalla carnosina, riguardano l’effetto antiossidante e il miglioramento dell’ATP-asi miosinica. Questa peculiarità rende questo integratore interessante anche per la sua azione riflessa sul potenziale miglioramento anche della contrattilità muscolare, a maggiore ragione se questa viene espressa ad alta intensità all'interno di un contesto ripetuto. L’azione antiossidante è conosciuta e confermata fin dal 1960, un’azione che sembrerebbe maggiore di quella del selenio e che agirebbe soprattutto contro la creazione di anione perossido e i prodotti di perossidazione capaci di esportare a distanza il danno ossidativo. Caratteristica questa che indicherebbe l’azione antiossidante della carnosina (quindi limitante i danni cellulari e favorenti e recuperi) efficace soprattutto per atleti di discipline anaerobiche e anaerobiche lattacide. Occorre sottolineare come l’assunzione di carnosina viene ottimizzata dalla presenza di Vit E e Vit A (anch’esse di riconosciuta azione antiossidante). È quindi opportuno che queste vitamine vangano introdotte con eventuali quote supplettive (esempio con un pool vitaminico minerale per sportivi). La carnosina risulta avere, come già accennato, ruolo importante nell’attivazione della ATP-asi miosinica. Questa funzione è già provata in vitro e sembrerebbe che anche nella pratica l’assunzione della molecola migliori l’azione di questo enzima permettendo una più rapida liberazione di energia (scinde l’adenosina dall’acido trisfosforico) e una migliore contrattilità muscolare. Il suo uso dovrebbe quindi contribuire a ottimizzare i meccanismi energetici soprattutto nei momenti di stress e di deficit della normale funzionalità. Questa sua capacità pro-energetica nei momenti di massimo bisogno, si miscela perfettamente con quella tampone già prima analizzata. Dagli anni ‘80 è dimostrato come la carnosina sia assimilabile per via orale e il dosaggio utile può variare dai 200 ai 600 mg al giorno, questo comunque in assenza di controindicazioni anche in caso di sovradosaggi. Ci sono cibi che contengono buoni livelli di carnosina come i gamberetti e il pollo, ma anche se l'alimentazione di un atleta è ricco di questi alimenti si è visto che rimane intatta la capacità di migliorare la performance con una integrazione di carnosina.
La molecola beta alanina è affine
Ultimamente la ricerca, ma anche il mondo dell’integrazione si è concentrata su una molecola ‘affine’ che è stata menzionata nella descrizione della carnosina; infatti il dipeptide carnosine è composto da beta alanina e istidina. La molecola in questione è infatti la beta alanina. Per questo motivo, da tempo vengono proposti integratori dove al posto delle carnosina c'è la beta alanina. Come detto la carnosina sembra essere più veloce nell'entrata in circolo ma la beta alanina, pur essendo più “lenta”, riesce a influenzare entrambi i tipi di fibre muscolari e a mantenere il suo effetto più a lungo; particolare importante se la prestazione a cui si va incontro si protrae nel tempo con picchi ad alta intensità. Logicamente l'effetto sulle fibre bianche rapide è maggiore perché il metabolismo anaerobico a cui attingono è quello che aumenta l'accumulo di acido lattico nei muscoli. Usare la beta-alanina come integratore provoca un aumento medio del 60 per cento della carnosina muscolare. Può sorgere una domanda: visto che la carnosina è composta anche da istidina, è giusto dare al corpo solo beta alanina o questo può provocare uno squilibrio? La risposta è negativa perché l'istidina entra in molteplici reazioni proteiche-aminoacidiche e una sua presenza extra potrebbe squilibrare altri processi; la beta alanina non ha invece altri coinvolgimenti di sintesi proteica ed è quindi utilizzata in modo quasi selettivo per la produzione di carnosina. Avendo un potenziale di stimolo e trasformazione in carnosina, di beta alanina ne va assunta un quantitativo più alto rispetto alla carnosina, certamente oltre al grammo ma facilmente si incontrano atleti che ne usano 2,5 g. Occorre pensare che assumere beta alanina spesso richiede tempi più lunghi rispetto alla carnosina. I tempi sono di almeno 30/45 minuti prima di una prestazione per vedere questa molecola nel circolo ematico ma molti atleti, soprattutto in gare di endurance o comunque composte da momenti con alte produzioni di lattato, fanno un uso della beta alanina in cronico più che in acuto. Quindi non si preoccupano di usarla solo prima della seduta o della prestazione, ma assumono questa molecola in modo costante (tipo la metodica usata con la creatina) almeno per 3/4 settimane, alcuni ne aumentano il dosaggio nei giorni in cui ci si allena. Addirittura sembrerebbe che i risultati migliori si possano ottenere dividendo il dosaggio in 2 volte al giorno. Certamente il potere disporre di un integratore ad alta concentrazione con disponibilità di principio attivo superiore al grammo per capsula rende l’assunzione estremamente comoda, precisa ed efficace.
Nessun effetto collaterale e tanti benefici
L’uso di beta alanina (e carnosina) non comporta effetti collaterali, soprattutto legati a ritenzione idrica, fattore che invece potrebbe verificarsi in alcuni atleti che usano come sostanza tampone la Creatina. Ad alti dosaggi la beta alanina può dare una sensazione di rossore e leggero calore cutaneo con una sorta di formicolio. Tali effetti sono legati alla sensibilità personale e possono quindi avere diverse entità; sono comunque rapidi e transitori e svaniscono rapidamente senza conseguenze. Gli atleti riportano che ci si abitua con il tempo. Comunque tali sintomi, si manifestano mediamente con dosaggi superiori ai 1,3/1,4 g per singola assunzione. Da segnalare che tale effetto collaterale è più facile ottenerlo con la carnosina che non con la beta alanina (anche se potenzialmente si manifesta comunque). L’assunzione di beta-alanina insieme a zuccheri semplici può non solo aumentarne la capacità ergo genica ma contemporaneamente attenuare i piccoli effetti collaterali di cui sopra. Altro punto importante è che la funzionalità della beta alanina sembra essere proporzionale all'età, nel senso che il suo effetto si avverte maggiormente dopo i 30 anni, questo perché probabilmente il corpo abbassa i suoi livelli di ‘saturazione’ da lattato (ma dipende dall’allenamento) e anche dei livelli endogeni di questi aminoacidi. Da non dimenticare l'effetto antiossidante che rimane un fattore di protezione in modo proporzionale all'età. Occorre infatti sottolineare che la beta alanina oltre a permette il controllo del PH, svolge (come la carnosina) da fattore di protezione delle membrane cellulari contro i radicali liberi (azione antiossidante) e una potenziale azione antinfiammatoria nonché di capacità contrastare gli AGE (Advanced Glycation End-products) che sono dei composti derivati dallo zucchero e che possono depositarsi nelle arterie. La beta alanina eredita di riflesso la capacità di influenzare positivamente l'ATPasi miosinica e quindi la capacità della contrazione muscolare potente, è infatti importante ricordare che le fibre bianche di tipo 2 (su cui beta alanina e carnosina hanno il maggiore effetto) hanno la proprietà di poter produrre azioni muscolari potenti anche grazie all'elevata velocità con cui vengono rilasciati gli ioni calcio e soprattutto a un alto livello di attività dell'ATPasi miosinica. Ad oggi la supplementazione con beta alanina appare una delle più efficace per ottenere effetti multipli fra cui:
• effetto tampone sulla produzione di acido lattico
• azione antiossidante
• una conseguente incremento della forza resistente
• effetto positivo sul ritardare la sensazione di stanchezza
• influenza sull’ATPasi miosinica e quindi sull’azione delle fibre bianche potenti
• attenua il classico dolore post allenamento (DOMS)
La beta alanina è più stabile nel tempo e pur essendo leggermente più “lenta” nell’entrare in azione rispetto alla carnosina, ne mantiene gli effetti nel tempo. Abbiamo quindi un integratore che per quanto conosciuto da tempo è spesso sottovalutato nelle sue potenzialità che possono invece essere di grande utilità in previsione di allenamenti duri con ripetute prove a intensità massimale lattacida.
© Performance Magazine - Settembre 2017